domenica 27 novembre 2016

AVVENTO.......
VIENI SIGNORE,VIENI SEMPRE E CONTINUA A PORRE LA TENDA TRA NOI.VIENI A SANARE LE NOSTRE FERITE,VIENI A RIDARE SPERANZA,VIENI A RINNOVARE LE TERRA.VIENI NEI CUORI DI CHI SI E' SMARRITO,VIENI NELLE CASE DI TANTE FAMIGLIE,DISGREGATE.VIENI NEI CUORI SUPERBI E MALVAGI,DI QUANTI FANNO DELLA VIOLENZA E DELL'ILLEGALITÀ' LA LORO VITA.VIENI NEI POTENTI DELLA TERRA,CHE SI ILLUDONO DI SOSTITUIRSI A DIO.VIENI SOPRATTUTTO IN ME,PERCHÉ' LA MIA VITA SIA TESTIMONIANZA VIVA DI CIO' PER CUI VIVO,CREDO E SPERO. AMEN.

sabato 19 novembre 2016

LA MISERICORDIA E' LA PERSONA STESSA DI GESU'.
OGNI ALTRA MISERICORDIA E' UN MISERICORDISMO FINE A SE STESSO.
Il vangelo di Luca, evidenzia che non è la religione del tempio quella che orienta l’agire di Gesù, ma è lo “Spirito del Signore” che dà a tutta la sua vita la direzione verso gli ultimi.
Questi quattro gruppi di persone, i «poveri», i «prigionieri», i «ciechi» e gli «oppressi» rappresentano e riassumono coloro che Gesù porta maggiormente dentro il suo cuore di profeta della compassione. In questa vita data per intero a infondere speranza ai poveri, a liberare da schiavitù, ad alleviare la sofferenza e ad offrire il perdono gratuito di Dio, possiamo vedere incarnata la misericordia del Padre.
La sofferenza, prima preoccupazione di Gesù:I vangeli non presentano Gesù che cammina per la Galilea in cerca di peccatori per convertirli dai loro peccati. Lo descrivono che si avvicina agli infermi per alleviare la loro sofferenza; accarezzando la pelle dei lebbrosi per liberarli dalla esclusione. Per dirlo in altro modo, nell’agire di Gesù è più determinante eliminare la sofferenza e umanizzare la vita che denunciare i peccati e chiamare a penitenza i peccatori. Non è che non lo preoccupi il peccato ma, per il Profeta della compassione, il peccato più grande contro il progetto umanizzante del regno di Dio consiste nell’introdurre nella vita sofferenza ingiusta o tollerarla con indifferenza, disinteressandoci delle persone che soffrono.Gesù comincia a parlare un linguaggio nuovo e provocatorio. .si faccia giustizia ai suoi figli più indifesi. Essi devono sapere che la misericordia di Dio non li abbandonerà mai. Per questo, Gesù incomincia a lanciare il suo grido profetico per tutta la Galilea. Si incontra con famiglie che non hanno potuto difendere le loro terre davanti agli abusi dei latifondisti e grida: «Beati voi che non avete niente[9] perché vostro è il regno di Dio». Osserva la denutrizione delle donne e dei bambini, e li assicura: «Beati voi che adesso avete fame perché sarete saziati». Vede piangere di impotenza i contadini quando gli esattori si portano via il meglio dei raccolti e li consola: «Beati voi che adesso piangete perché riderete».
L’accoglienza dei “peccatori” più disprezzati...
Ciò che più scandalizzava era l’abitudine di Gesù di sedersi a mangiare con loro alla stessa mensa. Non è qualcosa di secondario. È il tratto che caratterizza il suo modo di fare con i peccatori più disprezzati. è il gesto profetico più originale e rappresentativo del profeta della misericordia. In mezzo a un clima di condanna e di discriminazione generale, Gesù introduce un gesto profetico di accoglienza e inclusione.Il significato profondo di questi pasti consiste nel fatto che Gesù crea con loro una «comunità di mensa» davanti a Dio.
La tavola di Gesù è una tavola aperta a tutti. Dio non esclude nessuno, neppure i peccatori più disprezzati. Gesù sa molto bene che la sua tavola con peccatori non è la “tavola pura” dei farisei che escludevano gli impuri, né la “tavola santa” della comunità di Qumran, alla quale non si ammettevano i “figli delle tenebre”. È la “tavola accogliente” di Dio. Questa tavola, condivisa da tutti, rompe il cerchio diabolico della discriminazione e apre uno spazio nuovo dove tutti sono accolti e invitati a incontrarsi con il Padre della misericordia. Gesù pone tutti, giusti e peccatori, davanti al mistero insondabile di Dio. Non vi sono giusti con diritti e peccatori senza diritti. A tutti si offre gratuitamente la misericordia infinita di Dio. Sono esclusi coloro che non l’accolgono.
Questa misericordia insondabile del Padre può essere annunciata solo da una Chiesa accogliente, che elimina pregiudizi e rompe frontiere. In ogni atto di evangelizzazione non può mancare il messaggio del perdono gratuito e immeritato di Dio. Anche oggi tutti i collettivi che sono condannati, discriminati o ignorati in qualche misura dalla società o dalla Chiesa (prostitute, delinquenti, tossicodipendenti, gay, lesbiche, transessuali…) devono ascoltare il messaggio di Gesù: «Quando vi vedete condannati dalla Chiesa, sappiate che Dio vi guarda con amore. Quando nessuno vi perdona, sentite sopra di voi il perdono inesauribile di Dio. Quando vi sentite soli e umiliati, ascoltate il vostro cuore e sentirete che Dio è con voi. Anche se tutti vi abbandonano, Dio non vi abbandonerà mai. Non lo meritate. Non lo meritiamo nessuno. Ma Dio è così: misericordia e perdono senza limiti».

domenica 13 novembre 2016

DOMENICA 13 NOVEMBRE
GLI ULTIMI TEMPI,NON LA FINE MA IL FINE.
Leggere o ascoltare le notizie di cronaca o di politica induce alla depressione. La rissosità e la vacuità sono assurti a stile di vita. La crisi è reale, subdola, inchioda le famiglie alle proprie fatiche, impedisce di immaginare un futuro.
Ma quello che più scoraggia è la generale disillusione, la cattiveria dilagante, l'aria che tira.
Come da fine impero, come a Pompei prima dell'eruzione, come nel più cupo medioevo.
Tecnologico e buio.
Sapremo di andare a fondo leggendo la notizia su un tablet, bel progresso.
Dai roghi tossici ai femminicidi, dai giochi d'azzardo che svuotano le tasche degli italiani regalando un'amara illusione alle cupe previsioni economiche, per la prima volta sperimentiamo sul serio (e non, come spesso accade in Italia, per abitudine scaramantica alla lamentela) la fatica ad andare avanti.
Come nel dopoguerra, ma senza guerra.
In questi tempi cupi un po' ci si affida alla fede, molto di più ai cartomanti e ai santoni, vivi o imbalsamati.
E, ovviamente, qualche veggente cattolico ci assicura che siamo negli ultimi tempi. Ma dai!
Che scoperta! Dalla resurrezione in avanti siamo alla fine dei tempi.
State a sentire Luca, allora.
In questa penultima domenica dell'anno liturgico Luca parla alla sua e alla nostra comunità degli ultimi tempi. Quelli che sono già iniziati.
Non parla della fine ma del fine. Non della clamorosa implosione del mondo ma del senso della storia.
A capirla e saperla leggere.
Sta evangelizzando una comunità perseguitata, impressionata dalla distruzione di Gerusalemme e del tempio, impaurita dall'ondata di odio scatenata da Nerone.
Siamo perduti?, si chiedono i suoi parrocchiani, È la fine?
Non ve lo chiedete mai? Io sì.
E se Dio si fosse sbagliato? E se la vita fosse davvero un coacervo inestricabile di luce e di tenebre che mastica e tritura ogni emozione e ogni sogno? E se Dio - tenero! - avesse esagerato con l'idea della libertà degli uomini e del fatto che l'uomo può farcela da solo?
Me lo chiedo quando incontro gli amici , che non sanno più cosa fare, che pensano che, forse, hanno vinto i malvagi.
Me lo chiedo quando vedo un giovane papà prendere il camper e andare in Germania a cercare lavoro, con una laurea in tasca e un ex-lavoro da dirigente.
Me lo chiedo quando vedo persone sane, trasparenti, volenterose venire offese, turlupinate, ingannate e restano seduti nella sala d'aspetto delle opportunità (sociali, lavorative, economiche) vedendosi passare davanti persone ignoranti e arroganti.
È la fine? Dobbiamo arrenderci?
Alzate lo sguardo
No, dice Gesù, state sereni.
Non sono questi i segni della fine, come qualche predicatore radiofonico insiste nel dire. Non sono questi i segnali di un mondo che precipita nel caos.
E, sorridendo, il Maestro ci dice: cambia il tuo sguardo. Cambia te stesso. Cambia il mondo.
Guarda alle cose positive, al tanto amore che l'umanità, nonostante tutto, riesce a produrre, allo stupore che suscita il Creato e che tutto ridimensiona, al Regno che avanza nei cuori, timido, discreto, pacifico, disarmato. Guarda a te stesso, fratello mio, a quanto il Signore è riuscito a compiere in tutti gli anni della tua vita, nonostante tutto.
A tutto l'amore che hai donato e ricevuto, nonostante tutto.
Guarda a te e all'opera splendida di Dio, alla sua manifestazione solare, al bene e al bello che ha creato in te. Guarda e non ti scoraggiare.
Di più: la fatica può essere l'occasione di crescere, di credere. La fede si affina nella prova, diventa più trasparente, il tuo sguardo si rende più trasparente, diventi testimone di Dio quando ti giudicano, diventi santo davvero (Non quelli zuccherosi della nostra malata devozione!) e non te ne accorgi, ti scopri credente.
Se il mondo ci critica e ci giudica, se ci attacca, non mettiamoci sulle difensive, non ragioniamo con la logica di questo mondo: affidiamoci allo Spirito.
Quando il mondo parla troppo della Chiesa, la Chiesa deve parlare maggiormente di Cristo!
Lo dico CON ESTREMA COERENZA E FORZA : a me questa cosa non piace affatto.
Preferisco crogiolarmi nelle mie vere o presunte disgrazie, preferisco lamentarmi di tutto e di tutti, vivere nella rabbia cronica.
Preferisco cento volte lamentarmi del mondo brutto sporco e cattivo ed eventualmente
costruirmi una piccola setta cattolica molto devota in cui ci troviamo bene (Almeno all'inizio poi, è statistico, facciamo come il mondo cattivo!).
Preferisco fare a modo mio.....
Mi affatica l'idea di dover cambiare me stesso. E il mo sguardo. E il mio cuore.
Ma se proprio devo fare come vuoi tu, Signore, allora libera il mio cuore dal peso del peccato, dall'incoerenza profonda, dalla tendenza all'autolesionismo che mi contraddistingue e rendimi libero, in attesa del tuo Regno.

mercoledì 2 novembre 2016

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI.
NON CERCARE TRA I MORTI,IO SONO RISORTO.
«Vivere è convivere con l'idea che tutto prima o poi finirà. La morte è come una sentinella che fa da guardia al mistero. E' la roccia che ci impedisce d'affondare nella superficialità. E' un segnale che ci costringe a cercare una meta per cui valga la pena vivere». 
La vita è un cammino nel solco della malinconia di un ritorno ad un corpo amorevole, quello da cui siamo stati concepiti, è la prova che ci porta ad abbandonarci non alla speranza terrena d'essere salvati da una macchina, ma d'essere accolti nell'abbraccio tenero di quel corpo di Padre-Madre.
«Quando la prospettiva della morte ci spaventa e ci getta nella depressione, ecco che dal profondo del cuore riemerge un presentimento e la nostalgia di un Altro che possa accoglierci e farci sentire amati. La sua figura ha al tempo stesso tratti paterni e materni. E' pertanto evocazione dell'origine, del grembo, della patria, del focolare, del cuore a cui rimettere tutto ciò che siamo, del volto a cui guardare senza timore». Chiudere gli occhi nell'«eterno riposo» significa riaprirli nella limpidezza della Sorgente che ci ha generati, fatta anche delle lacrime della vita mortale che non vanno perdute.
«Ostentare ricchezza, potere, sicurezza, salute, attivismo sono espedienti per esorcizzare l'angoscia del tempo che ci sfugge dalle mani» diceva Martini in un altro contesto, rammentandoci come la visione quotidiana del bianco e del nero debba essere rovesciata. Ciò che vediamo bianco - salute, successo, denaro - in realtà è il riflesso del timore di ciò che crediamo nero - la morte - che invece è come per San Francesco «la sorella» che ci prende per mano per riportarci nell'amore da cui partimmo. «Sentiamo quasi una certa invidia e una profonda nostalgia per la libertà di spirito, la scioltezza spirituale e la gioia di Francesco d'Assisi di fronte alla morte» diceva Martini il 3 ottobre 1995, vigilia della festa del Santo Patrono d'Italia.
Invidia: pulsione che si rivolge ai detentori di beni materiali, mentre in questo caso è diretta verso chi ha raggiunto la bellezza di una libertà da tutto ciò che può significare mondo. «Il motivo del «ritorno» soggiace alla parola ebraica shuv che esprime il cambiamento del cuore e della vita» scrive ancora Martini. «E mi sono riappacificato con l'idea di morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremo mai a fare un atto di piena fiducia. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre un'uscita di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente. Di Dio».

martedì 1 novembre 2016

La liturgia della Parola,in questa solennità di tutti i santi, ci aiuta a riflettere sulla nostra santità....
Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti.
Poiché egli l'ha fondata sui mari, e l'ha stabilita sui fiumi.
3 Chi salirà al monte del SIGNORE?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
4 L'uomo innocente di mani e puro di cuore,
che non eleva l'animo a vanità
e non giura con il proposito di ingannare.
5 Egli riceverà benedizione dal SIGNORE,
giustizia dal Dio della sua salvezza.
6 Tale è la generazione di quelli che lo cercano,
di quelli che cercano il tuo volto, o Dio di Giacobbe.
7 O porte, alzate i vostri frontoni;
e voi, porte eterne, alzatevi;
e il Re di gloria entrerà.
8 Chi è questo Re di gloria?
È il SIGNORE, forte e potente,
il SIGNORE potente in battaglia.
9 O porte, alzate i vostri frontoni;
alzatevi, o porte eterne,
e il Re di gloria entrerà.
10 Chi è questo Re di gloria?
È il SIGNORE degli eserciti;
egli è il Re di gloria.
il salmo 24 è uno dei documenti più antichi della liturgia ebraica, che ha come sfondo il rituale dell'ingresso dell'arca nel tempio di Gerusalemme. È un rituale che intende celebrare il ritorno della gloria di Dio dopo la sua "assenza" dovuta all'esilio.
È un testo variamente interpretato nel corso della storia. C'è chi vi ha visto il tema dell'innocenza morale per accedere alla comunità liturgica. Chi vi ha visto una riproduzione dell'ascensione di Cristo al cielo. Chi vi ha visto l'incarnazione del Re di gloria, interpretando l'ingresso dell'arca nel tempio come l'apparire di Cristo nell'umanità con la sua nascita in mezzo a noi.
Ad una lettura attenta di questo salmo, nella sua attuale redazione, scopriamo che esso è articolato in tre parti che originariamente dovevano essere indipendenti, ma che poi sono state messe insieme in modo ben coordinato.
La prima parte (1-2) è un inno al Creatore e Signore del mondo.
La seconda parte (3-6) è un elenco delle condizioni morali per accedere al culto nel tempio.
La terza parte (7-10) è un inno trionfale, dialogato, che descrive l'ingresso del re di gloria nel tempio.
In effetti, il salmo risponde a tre precise domande:
1.chi ha la sovranità e il diritto di proprietà sul creato?
2.chi ha diritto di salire al monte dell'Eterno ed è degno di stare alla presenza di Dio?
3.chi ha diritto a regnare su di noi?
Anche nel salmo 15 ritroviamo le stesse domande. E questo ci fa pensare come Davide fosse fortemente coinvolto in questa tematica.
La prima domanda:A chi appartiene l'universo,e la terra degli abitanti?
Risposta:Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti.
La risposta a questa domanda si presenta come una vera confessione di fede. Possiamo dire che è la confessione di fede di Davide sulla signoria dell'Eterno. Se poi,ci riferiamo al contesto biblico di Davide,ci accorgiamo che ,questa risposta è uno dei primi articoli della teologia ebraica.
Per comprendere appieno questa verità teologica fondante,possiamo fare riferimento ,alla poesia ebraica (1 Sam. 2, 8, Es. 15; Salmo 19,1), nei salmi (50, 12; 74, 16-17; 89, 11-12; 95, 4-5; 97,5) e nella predicazione profetica (Is. 34,1; Ger. 8, 16; 47, 2; Ez. 19, 7; 30, 12; Mi. 1, 2) e deuteronomica (1, 4; 33, 16).
In questa confessione di fede, Dio è all'origine di tutto ed ha ogni diritto su tutta la creazione: "Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti".
E noi di conseguenza apparteniamo al Signore che ci ha
Prima di appartenere ai nostri genitori, alla nostra famiglia, a nostra moglie o a nostro marito, prima di appartenere o non a chicchessia, in ogni caso è certo che noi apparteniamo a Dio .
Ogni essere umano appartiene a Dio, perché è creazione ad immagine e somiglianza di Dio (Gen. 1, 26-27; 1 Cor. 10, 26), e in virtù di questa nobile appartenenza il compito della creatura è di avere rispetto di quanto ci è stato consegnato .
Dice il Signore: "La terra è mia e voi state da me come stranieri e ospiti" (Lev. 25, 23).
Il nostro testo afferma, inoltre, che Dio "ha fondato la terra sui mari e l'ha stabilita sui fiumi" (2), mari e fiumi che sono simbolo della fragilità, della instabilità con cui l'uomo deve confrontarsi nella sua vita . Ma ciò che rimane stabile è l'azione di Dio che con la sua parola celebra la vittoria sulle forze distruttrici del caos e della morte. "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" (Lc. 21, 33).
La seconda domanda:
Chi di noi ha il diritto di salire al monte dell'Eterno ed è degno di stare alla sua presenza, dinanzi alla sua santità?
Il salmista risponde delineando un uomo, che abbia necessariamente tre caratteristiche.
a)prima caratteristica: "…innocente di manie puro di cuore;
b)seconda caratteristica: "che non eleva l'animo a vanità";
c)terza caratteristica: " e non giura con il proposito di ingannare" .
Le mani rappresentano l'azione,il cuore l'intenzione, la volontà, cioè tutto l'essere dell'uomo orientato verso Dio e la sua legge. E tutte due insieme rappresentano l'essere umano nelle sue scelte religiose, morali e sociali.
La seconda caratteristica (verticale): "che non eleva l'animo a vanità"esprime una vita religiosa e spirituale che sia contro ogni forma di idolatria e che ponga Dio al centro della esistenza. E' una scelta di comunione con Dio (Salmo 31, 7; Os. 4, 8).
La terza caratteristica (orizzontale): "e non giura con il proposito di ingannare"esprimela vita dell'uomo nella dimensione sociale della morale che trova nel decalogo la sua prescrizione: "Non attestare il falso contro il tuo prossimo" (Es. 20, 16 e Deut. 5, 20).
Ma quale uomo ha i requisiti per essere dichiarato degno di stare alla presenza di Dio?
Chi potrà salire al monte santo, chi potrà stare nel suo luogo santo a pieno diritto?
L'apostolo Paolo nell'epistola ai Romani mette a nudo la natura umana e afferma che gli tutti gli uomini sono:"…ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati" (Rom. 1, 29-31) ed afferma:
"Non c'è alcun giusto, neppure uno. Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno» . (Rom. 3, 10-12).
Non c'è alcun giusto, n
Dopo aver dichiarato che "tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, indegni a comparire alla presenza di Dio, Paolo rivela che Dio imputa la sua giustizia a tutti coloro che ripongono la loro fede in Cristo Gesù e sono dunque "gratuitamente giustificati per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù"
E Paolo continua:"Lui ha preordinato per far l'espiazione mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare così la sua giustizia per il perdono dei peccati, che sono stati precedentemente commessi durante il tempo della pazienza di Dio" . Egli, Cristo, è l'unico che abbia potuto pagare il prezzo della nostra salvezza e della nostra accettabilità davanti a Dio.
Infatti, Cristo è venuto"…per manifestare la sua giustizia nel tempo presente, affinché egli sia giusto e giustificatore di colui che ha la fede di Gesù".
Cristo, il giusto, riveste della sua giustizia il peccatore credente, che con questa giustizia, non sua, ma ricevuta per grazia, può presentarsi di fronte a Dio.
"Chi salirà al monte del Signore? Chi starà nel suo santo luogo?"
E' l'uomo Gesù Cristo che nel suo cammino di abbassamento e di umiliazione, dopo aver lenito tutte le nostre ferite e portato tutti i nostri dolori, uomo sofferente, ubbidiente fino alla morte, può rappresentarci a pieno titolo dinanzi al Padre e, dunque, portarci alla Sua presenza.
Solo colui che è disceso dal cielo, può risalire al cielo (Gv. 3, 13).
Solo chi si è abbassato, può essere innalzato (Fil. 2, 8-9).
Non sono le nostre opere, i nostri meriti, i nostri sforzi morali, religiosi e sociali a permetterci di andare alla presenza del Padre, ma soltanto il perfetto cammino di Gesù tra noi, uomo tra gli uomini.
Questa rimane una condizione fondamentale per il credente,la sequela come adesione interiore,possiamo dire anche,la sequela come amore incondizionato,che presiede ogni attività e amore terreno. La sequela come cammino educativo della nostra animalità e contemplativo della nostra spiritualità.
TERZA DOMANDA:Chi ha il diritto di regnare su noi?
C'è, in questo tratto finale nel nostro salmo, un inno che celebra la figura di un "re della gloria", che entra trionfalmente nella città di Gerusalemme per andare a prendere dimora nel tempio come unico e legittimo pretendente al trono. E' rivestito di gloria, cioè dello splendore della sua maestà.
Se nei passi precedenti si è celebrata la sovranità di Dio come creatore, la sua giustizia e la sua salvezza come redentore, qui si canta la vittoria del re che alla testa dei suoi eserciti celesti prende possesso di ciò che gli appartiene.
Gesù, verso la fine del suo ministero terreno, è entrato in Gerusalemme nel tempio. La folla lo ha acclamato con le grida: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il regno di Davide, nostro padre! Osanna nei luoghi altissimi!"(Mc. 11, 9-10). Vi è entrato come re su un'asina, secondo la profezia di Zaccaria (9, 9), in un mesto silenzio personale.
Questa Gerusalemme lo ha fatto soffrire e gli ha dato la morte.
Ma la vera Gerusalemme che lo ha accolto e che gli ha aperto le proprie porte per dargli il posto come Re dei re, Signore dei Signori e Salvatore è un'altra.
La vera Gerusalemme è la sua chiesa, la sua sposa, costituita da tutti i riscattati dal sacrificio di Cristo e che il discepolo Giovanni vede nella sua visione nell'Apocalisse.
Dunque, il diritto a regnare su di noi è di Colui che ha dato la sua vita per noi e che noi abbiamo accolto capo e maestro della chiesa spirituale,sponsale che appartiene a un regno che non è di questo mondo (Ef. 1, 22-23; Col 1, 18).
Noi possiamo salire al monte,solo se facciamo nostre le caratteristiche descritte dal salmo. Possiamo salire al monte se mani e lingua sono purificati. Possiamo salire al monte e abitarvi solo se non dimentichiamo di essere tralci inseriti nella vite,figli, legati al pastore unico,terreno che sa quotidianamente accogliere la Benedizione,perché da soli non possiamo nulla,con Lui possiamo tutto. Siate santi come io sono santo.
+Padre Mario Metodio