LECTIO MAGISTRALIS
per la Laurea honoris causa
in Sacra
Teologia
di
+ Giovanni Climaco Mapelli
Arcivescovo
Riflessione teologica sul
Commento al Vangelo di Giovanni
di Sant'Agostino Vescovo di Ippona
OMELIA 82
Rimanete nel mio amore.
Tutto nasce dalla fede operante per
mezzo dell'amore. Ma come potremmo amare se prima non fossimo stati amati da
Dio?
[Siamo opera di Dio, creati in
Cristo Gesù.]
1. Richiamando con insistenza
l'attenzione dei discepoli sulla grazia che ci fa salvi, il Salvatore dice: Ciò
che glorifica il Padre mio è che portiate molto frutto; e così vi dimostrerete
miei discepoli (Gv 15, 8). Che si dica glorificato o clarificato, ambedue i
termini derivano dal greco:
δόξα =
doxa
che in latino significa
"gloria". Ritengo opportuna questa osservazione, perché l'Apostolo
dice: Se Abramo fu giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non
presso Dio (Rm, 4, 2). E' gloria presso Dio quella in cui viene glorificato,
non l'uomo, ma Dio; poiché l'uomo è giustificato non per le sue opere ma per la
fede; poiché è Dio che gli concede di operare bene. Infatti il tralcio, come ho
già detto precedentemente, non può portar frutto da se stesso. Se dunque ciò
che glorifica Dio Padre è che portiamo molto frutto e diventiamo discepoli di
Cristo, di tutto questo non possiamo gloriarcene, come se provenisse da noi. E'
grazia sua; perciò sua, non nostra, è la gloria. Ecco perché, in altra circostanza,
dopo aver detto ai discepoli:Risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
acciocché vedano le vostre buone opere, affinché non dovessero attribuire a se
stessi queste buone opere, subito aggiunge: e glorifichino il Padre vostro che
è nei cieli (Mt 5, 16). Ciò che glorifica, infatti, il Padre è che produciamo
molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo. E in grazia di chi lo
diventiamo, se non di colui che ci ha prevenuti con la sua misericordia? Di lui
infatti siamo fattura, creati in Cristo Gesù per compiere le opere buone (cf.
Ef 2, 10).
2. Come il Padre ha amato me, così
anch'io ho amato voi: rimanete nel mio amore (Gv 15, 9). Ecco l'origine di
tutte le nostre buone opere. Quale origine potrebbero avere, infatti, se non la
fede che opera mediante l'amore (cf. Gal 5, 6)? E come potremmo noi amare, se
prima non fossimo amati? Lo dice molto chiaramente, nella sua lettera, questo
medesimo evangelista: Amiamo Dio, perché egli ci ha amati per primo (1 Io 3,
19). L'espressione poi: Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi,
non vuole significare che la nostra natura è uguale alla sua, così come la sua
è uguale a quella del Padre, ma vuole indicare la grazia per cui l'uomo Cristo
Gesù è mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1 Tim 2, 5). E' appunto come
mediatore che egli si presenta dicendo: Come il Padre ha amato me, così anch'io
ho amato voi. E' certo, infatti, che il Padre ama anche noi, ma ci ama in lui;
perché ciò che glorifica il Padre è che noi portiamo frutto nella vite, cioè
nel Figlio, e diventiamo così suoi discepoli.
3. Rimanete nel mio amore. In che
modo ci rimarremo? Ascolta ciò che segue: Se osservate i miei comandamenti -
dice - rimarrete nel mio amore (Gv 15, 10). E' l'amore che ci fa osservare i
comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che fa nascere l'amore? Ma
chi può mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza dei comandamenti?
Chi non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti. Con le parole:
Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, il Signore non
vuole indicare l'origine dell'amore, ma la prova. Come a dire: Non crediate di
poter rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti: potrete
rimanervi solo se li osserverete. Cioè, questa sarà la prova che rimanete nel mio
amore, se osserverete i miei comandamenti. Nessuno quindi si illuda di amare il
Signore, se non osserva i suoi comandamenti; poiché in tanto lo amiamo in
quanto osserviamo i suoi comandamenti, e quanto meno li osserviamo tanto meno
lo amiamo. Anche se dalle parole: Rimanete nel mio amore, non appare chiaro di
quale amore egli stia parlando, se di quello con cui amiamo lui o di quello con
cui egli ama noi, possiamo però dedurlo dalla frase precedente. Egli aveva
detto: anch'io ho amato voi, e subito dopo ha aggiunto: Rimanete nel mio amore.
Si tratta dunque dell'amore che egli nutre per noi. E allora che vuol dire:
Rimanete nel mio amore, se non: rimanete nella mia grazia? E che significa: Se
osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, se non che voi potete
avere la certezza di essere nel mio amore, cioè nell'amore che io vi porto, se
osserverete i miei comandamenti? Non siamo dunque noi che prima osserviamo i
comandamenti di modo che egli venga ad amarci, ma il contrario: se egli non ci
amasse, noi non potremmo osservare i suoi comandamenti. Questa è la grazia che
è stata rivelata agli umili mentre è rimasta nascosta ai superbi.
4.
Ma cosa vogliono dire le parole che il Signore subito
aggiunge: Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo
amore (Gv 15, 10)? Certamente anche qui vuole che ci rendiamo conto dell'amore
che il Padre ha per lui. Aveva infatti cominciato col dire Come il Padre ha
amato me così anch'io ho amato voi; e a queste parole aveva fatto seguire le
altre: Rimanete nel mio amore, cioè, senza dubbio, nell'amore che io ho per
voi. Così ora, parlando del Padre, dice: Rimango nel suo amore, cioè nell'amore
che egli ha per me. Diremo però che questo amore con cui il Padre ama il Figlio
è grazia, come è grazia l'amore con cui il Figlio ama noi; e ciò nonostante che
noi siamo figli per grazia non per natura, mentre l'Unigenito è Figlio per
natura non per grazia? Ovvero dobbiamo intendere queste parole come dette in
relazione all'umanità assunta dal Figlio? E' proprio così che dobbiamo
intenderle. Infatti, dicendo: Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato
voi, egli ha voluto mettere in risalto la sua grazia di mediatore. E Gesù
Cristo è mediatore tra Dio e gli uomini non in quanto è Dio, ma in quanto uomo.
E' così che di Gesù in quanto uomo si legge: Gesù cresceva in sapienza e
statura e grazia, presso Dio e gli uomini (Lc 2, 52). Dunque possiamo ben dire
che, siccome la natura umana non rientra nella natura divina, se appartiene
alla persona dell'unigenito Figlio di Dio lo è per grazia e per una tale grazia
di cui non è concepibile una maggiore e neppure uguale. Nessun merito ha
preceduto l'incarnazione, e tutti hanno origine da essa. Il Figlio rimane
nell'amore con cui il Padre lo ha amato, e perciò osserva i suoi comandamenti.
A che cosa deve la sua grandezza umana se non al fatto che Dio l'ha assunta
(cf. Sal 3, 4)? Il Verbo infatti era Dio, era l'Unigenito coeterno al Padre; ma
affinché noi avessimo un mediatore, per grazia ineffabile il Verbo si è fatto carne
e abitò fra noi (Gv 1, 14).
INTRODUZIONE al TESTO
Agostino inizia le Omelie del
Commento al quarto Vangelo attribuito all'Apostolo Giovanni nel 416 circa e
l'Omelia n. 82 che qui voglio analizzare come contributo allo studio di un
Commento esegetico tanto importante e che ha varcato i secoli fino a noi vuol
essere un po' la Lectio Magistralis per il conferimento della Laurea in
Teologia che il Collegium Augustinianum di Philadelphia negli Stati Uniti ha
voluto destinare alla mia persona.
L'Omelia 82 fu composta e
pronunciata probabilmente dopo l'anno 422.
Questo Commento infatti non e'
un'opera monolitica scritta a tavolino, ma una trattazione omiletica viva che
serviva da catechesi al popolo di Dio della Chiesa locale in Ippona, citta'
dell'attuale Tunisia dove Aurelio Agostino fu Vescovo dal 396 al 430.
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LECTIO ACCADEMICA
In passato ho commentato varie volte
nelle mie omelie e nei miei scritti il Vangelo di Giovanni, in particolare il
Prologo che sta al suo inizio ed altri brani salienti che sono situati nella
Cena ultima, in cui emerge e si staglia nitidamente e come in nessun altro
testo dei Sinottici la figura divina e umana insieme del Cristo.
Sono brani di sublime teologia
quelli della Cena, in cui Cristo fissa l'addio ai suoi discepoli e fonda sul
mistero stesso della sua passione e morte la nascita della Chiesa.
Una teologia viva in cui viene
rivelato l'amore trinitario e il dialogo di comunione tra il Figlio e il Padre,
in una sintesi di amore perfetto che genera la permanenza nella fede e nella
speranza, fino al momento in cui il Paraclito verra' a corroborare l'umana
debolezza dei Discepoli.
Ho pensato oggi di porre
l'attenzione sull'Omelia che Agostino ha intitolato con il passo iniziale delle
parole di esortazione di Gesu' rivolte nella stessa Cena agli Apostoli :
"Rimanete nel mio amore"... (Gv. 15, 9 )
Ho accostato dunque Agostino a
Giovanni perche' il Collegio universitario che mi ha onorato di questa Laurea,
ormai a 55 anni suonati, e' intitolato a questo padre e dottore della Chiesa e perche' Giovanni l'Apostolo che Gesu' amava
di amore di predilezione e' il mio stesso patrono di cui porto il nome.
Agostino, lo sappiamo, e' un autore piuttosto
complesso nelle sue analisi e riflessioni teologiche e filosofiche.
Una sorta di mente pensante con una
capacita' di intuizione e di profondo scandaglio che solo una natura
tormentata, perennemente in ricerca e mai doma,
poteva cimentarsi con l'esegesi di un Vangelo che in Oriente viene
definito il "tesoro della scienza divina" (cfr. Origene di
Alessandria e altri padri della Chiesa).
Agostino inizia il Commento alla
Omelia n. 82 individuando nella
"grazia" la forza originaria di ogni compimento in noi del bene e
delle stesse opere di salvezza.
Le opere che fanno dunque
risplendere in noi la "gloria di Dio", come dice Gesu' nei Vangeli,
sono quelle che la stessa grazia di Dio ci permette di compiere e senza la
quale non potremmo mai fare nulla.
La grazia come l'amore con cui
veniamo amati da Cristo precedono ogni nostra volonta' e ogni nostra azione...
L'amore con cui Cristo ci ama e' lo
stesso amore con cui il Padre ama il Figlio: "come il Padre ha amato me
cosi io ho amato Voi"... (
Lo stesso amore divino, come il
Vescovo di Ippona sottolinea con insistenza, ha una natura diversa : verso di
noi e' amore in virtu' della grazia poiche' noi non siamo di natura divina,
mentre l'amore del Padre verso il suo Figlio, l'Unigenito, e' un amore che si
comunica dalla stessa natura divina ed e' amore e grazia insieme.
Dio ci ama dunque nel Figlio che ha
assunto la nostra natura umana in tutto eccetto la corruzione del peccato...
Ci ama di amore divino in grazia del
Figlio Verbo incarnato e fatto uomo...
Noi siamo figli in Lui Figlio e
siamo figli nella grazia mentre il Figlio e' figlio nella natura di Dio...
Sono meditazioni profondissime di
teologia cristiana dei primi secoli che hanno contribuito a gettare anche i
fondamenti biblici di una architettura dogmatica...
Qui noi udiamo riecheggiare la
parola di Paolo che ha piu' volte
analizzato nelle sue lettere apostoliche la figliolanza nostra e di
Cristo nei confronti di Dio...
Nella stessa definizione della
"grazia" gratuita di Dio e prima di ogni volere umano e' contenuta la
lezione paolina e poi agostiniana che daranno voce alla riforma luterana e
protestante nell'Europa del XIV secolo, che ha posto al centro la grazia e la
giustificazione per la fede ...
La fede in Agostino non puo' essere
compresa senza l'amore e l'amore e' anche il compimento ultimo della fede
stessa, dato che proprio San Giovanni Apostolo nella sua lettera dice che
" Dio e' amore"! ...
Ed e' la fede che misteriosamente
"vince il mondo"...
Dio e' amore e la fede e' l'amore
che vince sul male e sulla tenebra...
La tenebra e' il mondo senza l'amore
che e' la luce di Cristo : "io sono la luce del mondo!"...
L'amore dunque e' insieme luce e
forza...
Agostino sente in esso cio' che
realizza il comando del Maestro...
L'amore spinge ad osservare i
comandamenti del Signore : " se mi amate osserverete i miei
comandamenti"...
Ma noi li osserveremo perche' lo
amiamo e non lo amiamo perche' li osserviamo...
In questo vi e' il superamento di
quel legalismo farisaico in cui si osservava il comandamento come misura
dell'amore per Dio e la sua legge...
Non vi e' piu' una osservanza fredda
e formale dunque ma un amore che ci scalda il cuore nella fede per adempiere i
comandamenti di Dio che sono il nucleo stesso dell'amore poiche' generano in
noi la sua stessa vita divina...
Agostino mirabilmente coglie che il
comandamento di Cristo ai suoi che sono nel mondo e' quello di "rimanere
nel suo amore" perche' anche il Figlio rimane nell'amore di Colui che lo
ha generato, il Padre, e osserva i suoi comandamenti...
Gesu' osserva i comandamenti del
Padre perche' e' a Lui che deve la sua missione e la sua stessa vita...
Il mistero dell'amore trinitario
ineffabile viene cosi almeno sfiorato
dal Dottore mirabile della Chiesa prima di ogni altra mente pensante nella
storia, sulle parole di colui che con occhi di aquila ha potuto scrutare il
Verbo coeterno del Padre e le cui mani hanno potuto toccare l'Autore della
vita...
Il Mediatore unico e' il Cristo
Verbo del Padre : in lui tutto viene creato e ricapitolato...
Lo Spirito Santo Paraclito
procedera' dal Padre, ma e' il Figlio che lo inviera' come secondo
Consolatore...
Il primo Consolatore dal Padre e'
Gesu' Cristo stesso che assumendo la natura umana ci rende figli nel Figlio e
coeredi dei doni dello Spirito...
Per tanti secoli Oriente ed
Occidente si sono divisi anche sulle parole di Giovanni circa la processione
dello Spirito Santo, dividendosi cosi anche sulla realta' divina piu' unitaria
e di comunione che esista e che e' la Trinita' : questa tragedia drammatica
delle Chiese che e' contro testimonianza a Cristo ( e al suo "ut unum sint
) e' come una legge del contrappasso dove l'Unita' trinitaria di Dio viene
usata per generare divisioni e mai come oggi noi possiamo capire a distanza di
circa nove secoli e mezzo che essa e' opera di un altro spirito, quello del
Divisore (dal verbo greco diaballein, dividere, da dove deriva anche il
sostantivo "Diavolo")
L'unita' dell'amore genera i figli e
dunque i fratelli e la divisione invece genera la babele delle lingue e le
contrapposizioni fratricide...
Il "rimanete nel mio
amore" e' dunque il rimanete nell'unita' : unita' del Padre con il Figlio
e con lo Spirito Consolatore...
Rimanere nel suo amore e' fare
l'unita', perche' il mondo creda ...
L'incredulita' del mondo l'assenza
di amore e il venir meno dell'amore dei discepoli verso il Maestro e tra di
loro...
"Amatevi dunque come io ho
amato voi" e " dall'amore che avrete gli uni per gli altri riconosceranno che siete mie
discepoli!"...
Non c'e' alcun discepolato senza
l'amore: e' inutile che ci illudiamo e che come religiosi ci affanniamo
quotidianamente in altro...
In altre faccende che riempiono i
giorni e svuotano il cuore!
L'amore del Padre si rivela nel
Figlio e il Figlio ci parla nello Spirito.
"Cor ad cor loquitur " :
era questa parola viva che Agostino aveva udito quando venne a Milano, nostra
terra natia, e incontro' nell'antica basilica Ambrogio, il Vescovo e
predicatore piu' conosciuto in tutto l'Occidente, attorno all'anno 383 e nel
suo cammino tormentato e tortuoso dal manicheismo alla fede in Cristo ne rimase
folgorato.
Qui, sotto l'attuale Duomo, dove e'
visibile ancora l'antico e suggestivo
battistero paleocristiano ricevette il battesimo, la Vigilia di Pasqua del 387, dalle mani dello stesso Vescovo
Ambrogio, che morirà dieci anni piu' tardi, lo stesso giorno vigiliare del
Sabato Santo che precede la Pasqua di Cristo.
Un giorno Agostino dira' che la sua
fede arrivo' tardi nel cammino della vita e spinto dalle lacrime e preghiere
della madre Monica.
La fede era amore e l'amore era fede
in Lui e cosi egli ricorda con parole mirabili il suo approdo alla Verita' di
Dio in Cristo : "tardi ti amai bellezza antica e cosi nuova, tardi ti
amai, si perche' io ero sordo... Ma Tu hai gridato e hai vinto la mia sordita'!
"
(
Le Confessioni X, 27-38 )
Vinci
o Signore oggi, con la tua parola di verita', questa nostra umana e triste
sordita' e con il tuo amore vero la nostra incapacita' di amare.
Amen.
Milano, 30
Maggio 2015
Collegium Augustinianum di Philadelphia -
Stati Uniti
Vigilia
della Solennita' della Santissima Trinita' di Dio
Domenica 21 Giugno 2015
Lettura presso il Castello
di Borgonovo Valtidone ( Piacenza
)
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