lunedì 23 novembre 2015

Massimiliano Petrini

UN RINGRAZIAMENTO SINCERO,ALL'ARTISTA MASSIMILIANO PETRINI,PER AVER VOLUTO REALIZZARE IL MIO STEMMA EPISCOPALE SU MATTONE IN TERRACOTTA. ESPRIMO A LUI I SENSI DI STIMA ASSICURANDOGLI,VICINANZA , AUGURANDOGLI UN CAMMINO LUMINOSO.




sabato 21 novembre 2015

LA PARABOLA DELLA ZIZZANIA DESTITUISCE OGNI FONDAMENTALISMO RELIGIOSO.

LA PARABOLA DELLA ZIZZANIA




DESTITUISCE OGNI FONDAMENTALISMO RELIGIOSO.

In quel tempo, Gesù espose alla folla una parabola: "Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio".Un'altra parabola espose loro: "Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami". Un'altra parabola disse loro: "Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si ferme Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole,perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: "Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del Mondo" Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: "Spiegaci la parabola della zizzania nel campo". Ed egli rispose: "Colui che semina il buon seme è il Figlio dell 'uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno,e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi intenda. La parabola offertaci da Matteo,è tutta costruita sui contrasti. Contrasti di personaggi, gesti, mentalità, tempo soprattutto. Lo sfondo è unico: un campo. Il Padrone vi semina il grano, ma una notte arriva il Nemico con la zizzania. Tra i due gesti, l'opposizione appare netta. L'Avversario agisce di soppiatto, rapidamente, approfitta delle tenebre, del sonno dei contadini per guastare il lavoro altrui e poi sparisce, non lo vediamo più. Il Padrone del campo invece è sempre presente: non perde di vista il suo campo, agisce, parla, spiega e non abbandona la sua opera. Ma oltre ad essere padrone del campo, è padrone anche del tempo. Non si lascia afferrare dall'impazienza. Non è che la vista della zizzania in mezzo al grano gli faccia piacere, tutt'altro. Si oppone tuttavia allo zelo dei servitori, che vorrebbero sradicare immediatamente la zizzania. Ma dov'erano quei contadini mentre il nemico agiva indisturbato sul campo? Dormivano. Già è più facile accorgersi del male che ha già compiuto guasti irreparabili, che prevenirlo, è più facile denunciare che testimoniare, più facile protestare che darsi da fare. Il Padrone impedisce che si compia una colossale operazione di pulizia del campo. Ci tiene troppo al grano. "Perché non succeda che cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano". La frase costituisce il punto focale, l'insegnamento dì fondo della parabola. Dio ha tempo, Dio dà tempo, Dio sa aspettare. Il termine zizzania, in ebraico, deriva dalla stessa radice di Satana e richiama l'idea di disputare, dividere. Noi siamo per le posizioni nette, il Regno di Dio in questi confini precisi, di là il regno di Satana. Qui i buoni, di là i cattivi, questa è la verità e questo è l'errore, senza sfumature. Già i membri della comunità del Qumran si ritenevano "giusti", "perfetti", "illuminati". Anche i farisei si ritenevano dei separati e non intendevano assolutamente contaminarsi a contatto con gli altri. Si direbbe che un peccato tipico delle persone cosiddette religiose sia il bisogno di far coincidere la virtù (vera o presunta) con la separazione attraverso confini visibili e definitivi: questo è il settore dei "figli della luce", quello lo scantinato dei "figli delle tenebre". Con la pretesa di combattere il male, sovente si è contro qualcuno. Più che produrre qualcosa si è solo capaci di accanirsi su ciò che fanno gli altri. Molti campano sulla zizzania, è il loro grande, provvidenziale datore di lavoro. Gesù ha vissuto le parabole, prima di raccontarle. In ogni suo atteggiamento ha incarnato la pazienza divina, mostrando che - in questo tempo - nessun peccato sottrae definitivamente l'uomo alla misericordia dì Dio. Gesù non sì separa dai peccatori, ma va con loro, non li abbandona, anzi li perdona. (Giovanni Battista annunciava (in Messia che avrebbe finalmente separato il grano e la paglia). Tollera persino nella cerchia dei dodici un traditore. Cmunque, si circonda di discepoli che sono pronti ad abbandonarlo. La presenza della zizzania nel campo di grano - anche se i servi mostrano di esserne sorpresi - non sorprende il padrone che risponde semplicemente: "Un nemico ha fatto questo". La vera meraviglia del lettore nasce dalla seconda risposta del padrone che ordina dì non strappare la zizzania, ma di lasciarla crescere insieme al grano. Tutti gli indizi raccolti convergono nel mostrare che il centro della parabola è il dialogo, e che la punta del dialogo è il secondo botta e risposta. Tuttavia, anche la prima domanda è seria, e la meraviglia dei servi giustificata: " Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Donde proviene la zizzania?". Infatti, qui non si tratta di un campo di grano, ma della "figura" del regno di Dio nella storia. Nella sua genericità questa domanda è universale e antica quanto l'uomo: se Dio è buono perché esiste il male nel mondo? Ma collocata nel contesto specifico dei Vangelo, la stessa domanda acquista un senso del tutto particolare: se il tempo messianico è giunto, perché ancora il peccato nel mondo, persino nella comunità cristiana? Che Dio permetta al male di convivere col bene lo si sapeva. Lo sconcerto è che anche l'ultimo intervento di Dio - quello che si immaginava diverso! - non abbia cambiato le cose. Non doveva essere il tempo in cui Dio avrebbe finalmente instaurata la giustizia nel mondo? E invece anche il tempo messianico continua a sembrare un tempo in cui Dio promette soltanto. La presenza del Regno sembra ancora nell'ordine dei segni, o della profezia, non del compimento. Le parabole evangeliche vanno sempre lette nella prospettiva del Regno arrivato: è qui che trovano la loro forza e la loro singolarità. All'interrogativo dei servi - che vogliono conoscere il perché della presenza della zizzania - il padrone risponde laconicamente: "Un uomo nemico ha fatto questo". Come a dire non è colpa mia. Non aggiunge altro, perché l'essenziale è detto. Dire di più (ma sarebbe possibile?) è distrazione. Per la Bibbia, la domanda più importante non riguarda l'origine del male, ma come vivere nella storia, dove il bene e il male crescono insieme. Il primo è un problema teorico, il secondo è un problema pratico. La parabola indugia su quest'ultimo. Anche la conclusione della parabola non è il punto sul quale fermarsi, tuttavia vi si dice qualcosa di molto importante. La certezza della separazione finale mostra che l'ordine del padrone di non separare "già ora" l'uno dall'altra non è indifferenza al bene e al male. La cernita futura è la prova che Dio prende l'uomo sul serio, Al tempo stesso rende liberi di accogliere gli uomini nel Regno di Dio senza l'ossessione di creare una pura comunità di giusti. Gesù ha rifiutato di costituire una cerchia ristretta, e non vuole che i suoi discepoli si assumano il compito di mietitori. Il padrone non nega la necessità della separazione, dice semplicemente che il suo tempo non è giunto e che il compito di separare non spetta agli uomini. La presenza della zizzania è opera di un nemico, ma permettere che la zizzania e il grano crescano insieme è precisa volontà del padrone: "Lasciate...." La novità della parabola sta qui, in questo comando del tutto inatteso, accompagnato da una giustificazione non priva d'ironia: "Perché non abbiate a distruggere il grano Insieme alla zizzania". Il bene e il male, i santi e i peccatori crescono insieme, in un groviglio che non è facile sciogliere. E non mancano servi zelanti che se ne scandalizzano: Dio non dovrebbe governare con criteri più netti? E siccome la tolleranza di Dio sembra loro eccessiva, si incaricano di correggerla. Sappiamo che anche la comunità cristiana primitiva ha subito la tentazione della rigidezza. Ci si chiedeva, per esempio, se fosse giusto perdonare i peccati dopo il battesimo. La parabola invita la comunità ad essere misericordiosa e a "non giudicare nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce ciò che le tenebre nascondono e manifesterà i consigli del cuore" (i Con4,5). È una parabola che ribalta le nostre posizioni abituali. Provo a precisare in riferimento alla situazione attuale. "Mentre tutti dormivano Oggi invece la zizzania non viene più sparsa di notte, il male è esibito, pubblicizzato, esaltato alla luce del sole. "Da dove viene la zizzania?". E se venisse anche da noi? Quando parliamo del male, e vogliamo accertarne le cause, ci poniamo sempre al di fuori, come se non centrassimo, se non fossimo almeno un poco responsabili della sua diffusione nel mondo. "Alla fine del mondo il figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali Piuttosto imbarazzante quel particolare: "dal suo regno". La zizzania dunque è nata all'interno del Regno, non è che il cristiano trovi il male fuori del proprio territorio. Gli scandali crescono all'interno del campo di Dio, dunque in casa nostra. Non soltanto nel campo dell'avversario. La parabola della zizzania costituisce la più decisa smentita degli integralismi, dei fanatismi, dell'intolleranza, delle inquisizioni. La zizzania intreccia inestricabilmente le proprie robuste radici con quelle del grano. Volerla estirpare precipitosamente significa sradicare anche il bene (o almeno la possibilità di bene). Occorre odiare il peccato e amare - o rispettare - i peccatori. Il male è una cosa, i cattivi sono un'altra, perché i cattivi possono ridiventare buoni. Con l'illusione di impedire il contagio si rischia di propagarlo. Col proposito di colpire il male sovente ci si sbarazza di ciò che dà fastidio, ci disturba. Si afferma che bisogna prendere posizione nette, fare una scelta di campo, ma non c'è nessun campo che sia soltanto buon grano. E quanto a prendere posizione prima che davanti agli altri occorre prenderla all'interno di noi stessi, di fronte al male che ospitiamo dentro. Nel momento in cui giudichi, condanni gli altri ritenendoti "puro", ti trasformi in zizzania, il vero scandalo è quello offerto da coloro che pensano di dimostrare le proprie virtù denunciando le colpe degli altri. i veri operatori di iniquità sono coloro che invece di impegnarsi nell'umile fatica della pratica del Vangelo, si arrogano un ruolo che è competenza esclusiva di Dio. L'ultimo dei 99 "bei nomi di Dio" custoditi dalla tradizione musulmana è "il Pazientissimo". Concretamente: l'unica maniera legittima per non rendersi complici del male è quella di produrre ... un po' di bene. Tra le persone c'è un sottile intreccio di vita, di destini, d'influenza reciproche. Il disegno di Dio è molto più fine, vede molto più lontano perché Dio è ottimista e continua a sperare nell'uomo. Questa visione rasserenante se applicata alle vicende della vita di ogni giorno ci rende più pazienti con gli altri, più tolleranti, più capaci di credere nel bene che c'è in loro, anche se in quel momento non lo vediamo perché non si manifesta, perché non coincide con il nostro bene. Tale visione dobbiamo chiedere a Dio: questa è l'arte dei rapporti umani. Grano e zizzania si alimentano nella stessa zolla, che poi è questa nostra natura umana; e le loro radici, insinuandosi nei meandri delle nostre scelte, saldano l'insieme dell'agire di tutti in modo tale che non è possibile toccarne una senza coinvolgerne molte. La parabola è seguita da una spiegazione (13,36-43) e le differenze sono molte: i destinatari (prima le folle ora solo i discepoli), l'ambientazione (dall'ampio orizzonte del mare allo spazio ristretto della casa), ecc ..... Soprattutto si è spostato il centro della parabola: non è più la logica con cui Dio guida il suo Regno, ma il giudizio nell'ultimo giorno. La parabola era teologica, la spiegazione è morale. La "novità" teologica è diventata un ammonimento e non approfittare della pazienza di Dio. Sembra che alla spiegazione più che il problema dei buoni e dei cattivi della comunità stia a cuore quella della sorte finale dei cattivi. Lo spostamento d'interesse è probabilmente da collegarsi a un mutamento della situazione storica e pastorale della comunità. Il tempo ha spento gli entusiasmi delle origini e di fronte ai peccati e alle defezioni la comunità rischia di diventare indifferente: non più la meraviglia e lo scandalo, ma l'adattamento e la mondanizzazione. Non più la tentazione della rigidezza, ma quella della confusione. Giustamente Matteo - commentando la parabola - non insiste sulla pazienza dì Dio, ma avverte di non approfittarne. La tolleranza è la virtù di Dio, ma non è tolleranza che nasce dall'indifferenza. La tolleranza di Dio, è sempre accompagnata dalla chiarezza. Bisogna fare attenzione a come si comprende la parabola. Sussiste il rischio di banalizzarla, senza distinguere il grano dalla zizzania. Il rischio del cristiano liberale e tollerante è che rinunci a giudicare e a separare, ma non perché sia convinto a tanto dalla pazienza di Dio e dalla speranza nella sua opera futura, quanto piuttosto perché non vede nessuna. differenza abissale tra grano e zizzania; gli va tutto bene, e trova ridicolo ed infantile che si parli di un "nemico" che ha sconvolto la piantagione di Dio. Quando recitiamo i salmi, di fronte a tante espressioni dure di imprecazione contro i nemici, contro i potenti dalla vita florida e dalla carne ben pasciuta, contro coloro che dicono: " Dio non c'è, non se ne cura ", rimaniamo come sorpresi ed increduli, o magari scandalizzati dai sentimenti poco cristiani lì espressi. Ma dove sono tutti questi nemici? - ci chiediamo. Dovremmo piuttosto chiederci: non sarà per caso accaduto che noi non abbiamo più occhi per riconoscere la zizzania e il nemico? L'insegnamento fondamentale della parabola è tuttavia l'altro: la zizzania non può essere strappata via dal campo. La spada o la falce di cui disponi consente di eseguire quell'operazione soltanto nei confronti di pensieri e sentimenti del tuo cuore. Quando tu cercassi di usarla per chi ti sta intorno, accadrebbe ineluttabilmente che insieme alla zizzania butteresti al fuoco molto buon grano. La divisione, infatti, tra l'una e l'altra passa all'interno di ciascuno; l'opera del nemico è troppo subdola perché possa essere rimediata attraverso epurazioni intempestive. La parabola del grano e della zizzania può essere qualificata come la parabola della dolcezza di Dio in questo mondo. La verità della parabola e il prezzo di ciò che vi si dice, sarà pagato da Gesù attraverso la croce: preferirà morire, perché molti possano poi volgersi indietro e separare dentro di sé la zizzania dal grano, piuttosto che falciare i peccatori chiamando in soccorso una legione di angeli. Il male e il bene non delimitano territori rigidamente definiti, soprattutto non dividono e oppongono le persone tra loro. La linea di confine del male non passa attraverso individui o gruppi, passa in mezzo al cuore di ogni uomo, per cui nessuno può illudersi totalmente al di qua o al di là di quella linea. Ostinarsi a guardare e denunciare il male che sta fuori di noi significa non vedere il peccato che affonda le radici dentro dì noi. C'è anche un modo diverso di guardare il campo. Tutto dipende dall'occhio con cui si osserva una certa realtà. C'è chi vede nel mondo esclusivamente sporcizia, corruzione, violenza, cattiveria, falsità. Ma c'è chi, senza ignorare questi prodotti, riesce a scorgere anche il bene, la pulizia, l'onestà, la coerenza. Si direbbe che certi individui si siano specializzati a cogliere l'opera di Satana e risultino incapaci di scoprire l'azione di Dio nel mondo. Completezza d'informazioni o incompletezza di sguardo? L'uomo non ha diritto di anticipare il giudizio finale. Questo spetta a Dio in esclusiva, è compito suo. La data è quella stabilita da lui, non dai nostri calendari frettolosi. E poi l'uomo non possiede il metro adatto per giudicare i propri simili. Di quel metro Dio è gelosissimo custode, non lo concede in appalto ad alcuno. Nessuno di noi, quindi, deve "rubare" il mestiere di Dio. Il nostro compito, semmai, si esercita nel campo della comprensione, del rispetto, della pazienza, della longanimità. Abbiamo l'occhio infallibile! Ecco il grano buono ed ecco la zizzania, Questi i buoni, quelli i cattivi. Ci sono i nostri e ... quegli altri. I vicini e i lontani, gli individui fidati e quelli poco raccomandabili. Noi i fedeli, i praticanti, la parte sana, e i poco di buono, gli indisciplinati. Basterebbe che Dio ci facesse cenno e ci precipiteremo a far pulizia nel suo campo, a mettere un po' d'ordine. Il guaio è che Dio quel cenno non si decide a farlo e noi siamo costretti a mordere il freno, tenere a bada la nostra impazienza.
Il punto di vista di Dio in tante cose sembra essere diverso dal nostro. Chiediamo anche noi la pazienza. Però non come quel tale che pregava: "O Signore, dammi la pazienza. Ma sbrigati!".
Uno dei difetti più gravi dell'uomo è di credersi quasi onnipotente. Anche se a parole ciascuno riconosce i propri limiti e la propria fallibilità, nel nostro animo alligna l'idea di essere perfetti. Lo sa bene l'autore sacro quando, nel libro della Genesi, mette in bocca al tentatore la frase Voi sarete come Dio", delinea in un nodo fondamentale la psicologia umana. Questo desiderio, sentirsi Dio, addirittura essere Dio è nell'uomo così impellente e tenace che difficilmente se ne può liberare. Infatti, quando si accorge di avere problemi o di non riuscire a portare a termine un compito, l'uomo addossa solitamente ad altri la colpa dei fallimento, e non ammette di essere lui stesso la causa. Così, se in una famiglia un figlio crea problemi, lo sposo tende a riversare sulla sposa la responsabilità, ed altrettanto fa lei con lui: raramente si rientra in sé per ammettere i propri limiti e i propri errori. Una conquista straordinaria, per l'uomo, è arrivare a comprendere e a tollerare la propria impotenza e la propria fallibilità. Quando deponiamo le manie di grandezza e indossiamo le vesti della debolezza, cominciamo ad essere finalmente umani: l'uomo, per tornare alla parabola del Vangelo, è un impasto di ricchezza e di povertà, di generosità e di egoismo, di intuizione e di ignoranza, di grano e di zizzania. Cresce soltanto colui che ammette le proprie povertà. . La società aperta è consapevole di essere limitata e, attraverso gli errori, sa muoversi verso la pienezza. Sbagliare è umano, ma è molto più umano correggersi. Alleniamoci a considerare noi stessi come limitati e fallibili, per ritrovare il gusto e il piacere di scovare i nostri difetti, le nostre "zizzanie". L'uomo cresce attraverso gli sbagli solo quando li riconosce. Se ciascuno degli sposi compie questo cammino, la coppia vive in comunione: non ci sarà, più recriminazione dell'uno verso l'altro, ma il dialogo, per riparare insieme a problemi e mancanze. La crescita della coppia diventerà anche crescita individuale. Non ci si lascerà soffocare dalla voglia di estirpare i difetti o il male altrui, e si vivrà piuttosto la tensione a superare i propri, di difetti, guardandosi dentro, perché possa crescere il grano buono. Anche la Chiesa deve riconoscere di essere, al contempo, grano e zizzania. La zizzania non è solo fuori di essa, nel mondo, ma anche dentro di essa. Sant'Agostino affermava che la Chiesa è una casta meretrice, santa e peccatrice come Pietro. Ricordiamo i due Pietro tramandatici dal Vangelo: quello che per primo riconosce Gesù come il Cristo e Messia, e quello che lo rinnega, che stenta a credergli, che non accetta un Messia debole. C'è un Pietro santo e un Pietro satana. Ecco perché anche la Chiesa è peccatrice, fallibile, sempre bisognosa di conversione. E come tale deve sentirsi più discepola che maestra. Una delle molte, sorprendenti espressioni coniate dal Concilio è questa: "Ecclesia semper reformanda", la Chiesa è sempre da riformare e si rinnova ammettendo i propri sbagli. Dobbiamo essere tolleranti verso la varietà del mondo. "Lasciate che l'una e l'altra crescano insieme ": tra gli uomini girano idee tanto diverse, e la verità nasce dal loro confronto, non dall'eliminazione di qualcuna di esse. Occorre vincere l'intolleranza e il fanatismo perché sono contro il Vangelo. Anche nella nostra società il male cresce col bene e non è possibile subito separare completamente l'uno dall'altro. I cristiani si trovano in mezzo a coloro che non lo sono, lavorano agli stessi progetti di ricerca e di sviluppo, ma per essere un segno di contraddizione, un raggio di speranza, fra le paure del nostro tempo. Rischiano di non essere compresi, di venire ostacolati, ma non possono riunirsi nella sicurezza di un clan, non possono sentirsi dei "separati". Sì, anche noi corriamo il rischio di isolarci in "ghetti spirituali" protetti dove sembra che, lontano dal male, il bene abbia modo di svilupparsi di più, Non è questa, però, la linea del Vangelo. Gesù ci vuole in mezzo a tutti, anche fra coloro che per ideologia o per prassi sono diversi da noi e perseguono altri fini. Non dobbiamo avere paura di "sporcarci le mani", di essere messi in crisi né di subire opposizioni o persecuzioni. Un cristianesimo "in scatola", asettico, lontano dal mondo, limitato nell'ambito di una "zona protetta" che può essere la parrocchia o il gruppo ristretto, non può essere riconosciuto come autentico dal Cristo. Un cristianesimo che si protegge, si nasconde, si separa dagli altri, è falso. È sempre il tempo, perciò, di aprire le porte, invece di chiuderle per sentirsi al sicuro. È il tempo di abbattere gli steccati, tutti i muri che, da qualche parte, probabilmente, esistono ancora. Non abbiamo bisogno di difenderci, ma di uscire per correre incontro al mondo. Non temere: hai il Signore con te e Lui ti dà la forza. Se ti tiri indietro il male cresce, mette le radici, se lo affronti puoi vincerlo. Non con l'intransigenza e la durezza però, ma con la verità, la pazienza, l'amore. Anche il male del mondo si previene e si cura con una coerente testimonianza di vita, con il coraggio di chi sa scegliere Dio e il suo progetto, con la speranza che sconfigge la tristezza e la paura. "Vinci il male col bene". "Dove non c'è amore, metti amore e troverai amore".


giovedì 19 novembre 2015

Francesco e la doppiezza IL PAPA PREDICA BENE MA RAZZOLA MALE ...



Francesco e la doppiezza
IL PAPA PREDICA BENE
MA RAZZOLA MALE ...
Quando il Cardinale Tarcisio Bertone ha costruito il suo nuovo attico di circa 700 metri cioè quasi un kilometro di casa abitata da lui solo e tre suore era dimissionario per limiti di età dal ruolo di Segretario di Stato del Vaticano cioè il numero due dopo il Papa ...
Aveva servito Papa Ratzinger per vari anni e per un anno il nuovo Papa Francesco...
Un attico di quelle dimensioni per essere ristrutturato e completamente rifatto necessita dei permessi del Governatorato e alla fine la firma per approvazione del Segretario di Stato che ormai era il successore Pietro Parolin ...
Un atto di questa rilevanza non poteva affatto evitare il giudizio del Santo Padre che in Vaticano è il Sovrano dello Stato Pontificio ...
Dunque il Papa era ben al corrente di questa impresa e poteva benissimo bloccarla...
Se non fossero emerse le notizie sulla stampa il Papa non avrebbe detto neanche una parola...
E a seguito dello scandalo pubblico per la grandiosità della casa di Bertone il cardinale pare abbia ridotto l'appartamento di sua proprietà a soli 380 metri, facendo però pagare i lavori di ristrutturazione alla amministrazione dell'Ospedale del Bambin Gesù ...
Il Papa dalla sua elezione, come il cardinale Parolin, abita presso la Casa Santa Marta un appartamento di circa 50 metri quadrati ...
Ma il Papa sapeva benissimo che tutti i cardinali vivevano in appartamenti almeno 8 o 10 volte più grandi del suo che è tra l'altro presso un Albergo interno al Vaticano ...
Il Papa credeva, con il nuovo Segretario di Stato, che dando l'esempio di persona gli altri cardinali e vescovi lo avrebbero forse seguito ...
Invece si è sbagliato di grosso: gli altri prelati attempati e padroni in Vaticano da decenni hanno pensato bene che la sua fosse solo una mossa pubblicitaria e populista e hanno continuato imperterriti a fare i "principi della Chiesa" come diceva il codice del diritto canonico antico ...
Principi cui è adatto un lusso e una magnificenza che il Vaticano e i papi non hanno mai disdegnato ...
Francesco per via anche del suo nome di papa, che ricorda il poverello di Assisi, vorrebbe portare uno stile nuovo in Vaticano e nella Chiesa, quello della sobrietà e della povertà di mezzi e di vita ...
Ma il Papa non è caduto dalle nuvole, sapeva benissimo di aver approvato i lavori di Bertone per la sua casa come di altri porporati e magari si aspettava che il cardinale del canavese vi rinunciasse ...
Ma un Papa non è un correttore spirituale o un maestro dei novizi:
è capo della Chiesa e ha la potestà ordinaria di governare ...
Se pensa con le teste mitrate e "dure di cervice", come dice il testo biblico, di far breccia e convertirle al suo nuovo messaggio ha sbagliato a capire ...
Non poteva pensare di firmare il suo consenso alla costruzione dell'attico cardinalizio e poi sperare in un suo abbandono ...
Il Papa poteva e doveva per il bene di tutta la Chiesa proibirlo questo attico e invitare il cardinale Bertone ad andare ad abitare in un appartamento decoroso già esistente di proprietà della Santa Sede, anche fuori dalle mura vaticane ...
Anzi per essere più esplicito poteva chiedere ai cardinali Bertone e Sodano, suo predecessore alla Segreteria di Stato, di andare a casa propria vicino a Torino, essendo tutti e due torinesi ...
In fondo dopo gli 80 anni e a norma del diritto tutti i prelati decadono dai loro uffici ...
Sodano ha favorito assai la sua famiglia di nipoti costruttori edili a Roma arricchendoli oltremodo e Bertone ha creato tanti danni negli ultimi anni che ritirandosi su in Piemonte non potevano che fare entrambi un gran bene alla Chiesa ...
Mandando verso casa questi due potenti cardinali Francesco avrebbe inviato anche un segnale inequivocabile a tutti i cardinali del Sacro Collegio e soprattutto a quelli più principeschi e attaccati al fasto della Curia romana...
Infine l'idea balzana e da Papa Re dei tempi di Pio IX di "mandare a processo" i due giornalisti italiani per la vicenda della pubblicazione di carte e documenti segreti vaticani è talmente ipocrita come di chi pretende di fare pulizia processando il denunciante il reato anziché chi lo ha commesso ...
Papa Bergoglio insomma, nonostante tante belle parole, agisce più da capo di Stato che da Vescovo della Chiesa o pastore ...
Un capo di Stato molto terreno ...
Finora dunque dobbiamo rimarcare che Francesco, al di là delle belle intenzioni, non è stato all'altezza del suo compito di riformatore e di papa che governa la Chiesa con atti chiari e decisi ...
Insomma anche lui in fondo non è stato esente da una forma disastrosa di "doppiezza"...
Milano, 18 novembre 2015
CENTRO STUDI TEOLOGICI di MILANO

mercoledì 18 novembre 2015

LA DIMOSTRAZIONE DELLA LAICITÀ' DELLO STATO. NESSUNO PARLA TUTTO TACE.SOLO PER MALATI,PENSIONATI,INVALIDI E POVERI NON CI SONO RISORSE......

LA DIMOSTRAZIONE DELLA LAICITÀ' DELLO STATO. NESSUNO PARLA TUTTO TACE.SOLO PER MALATI,PENSIONATI,INVALIDI E POVERI NON CI SONO RISORSE......


28 milioni In più alle scuole private. Rinvio per Sud e sicurezza

scuole-privateSPENDING review? Le scuole private non sanno nemmeno che vuol dire. Nel 2016 non gli sarà tolto nemmeno un euro rispetto al fondo stanziato nel 2014: 500 milioni erano e 500 milioni saranno. Nei secoli dei secoli, com’è giusto che sia per istituti che sono in larghissima parte di proprietà di enti religiosi cattolici. “Stiamo lavorando per incrementare di 28 milioni le risorse già stanziate: in questo modo salirebbero a 500 milioni di euro”, ha spiegato Federica Chiavaroli, di Area Popolari, una delle relatrici della manovra in Senato (l’altra è la pidina Magda Zanoni).
In un primo momento, il duo aveva presentato una proposta con solo 15 milioni aggiuntivi, ma poi il Signore deve averle illuminate: non un euro in meno, nei secoli dei secoli, e i milioni sono diventati 28 per arrivare a mezzo miliardo. Curiosamente, invece, per questioni più serie come il Sud o maggiori stanziamenti sulla sicurezza, peraltro proposti questi ultimi dallo stesso governo dopo gli attentati di Parigi, in Senato non s’è trovato tempo. “Dobbiamo approfondire, serve una riflessione – ha spiegato in commissione Bilancio il ministro Maria Elena Boschi -. È chiaro che queste misure devono essere compatibili coi vincoli di finanza pubblica”. Secondo il governo, insomma, se ne riparla alla Camera, dopo che Palazzo Madama avrà chiuso la prima lettura della manovra (dovrebbe arrivare entro sabato).
I fondi per il Sud dovrebbero essere destinati a una decontribuzione piena sulle assunzioni anche nel 2016 (anziché al 40%) e a un super-credito d’imposta sugli investimenti. Gli emendamenti parlamentari sul Sud costavano almeno 600 milioni, mentre lo stanziamento in sicurezza a cui lavora il governo ne vale 120 (così ha detto il sottosegretario Baretta). Effettivamente trovare tutti quei soldi in un bilancio bloccato da miliardi di sgravi alle imprese e coperto a deficit è impresa che richiede “approfondimenti”: certo se la legge di Stabilità non fosse arrivata in Senato due settimane dopo rispetto a quando doveva, forse c’era tempo di farli subito.
MA. PA. – il Fatto Quotidiano 18.11.2015

lunedì 16 novembre 2015

la guerra

LA GUERRA.
Come può del resto la guerra essere dichiarata disumana, come si può dire che ci fa scadere a livello degli animali, quando a farla non sono gli animali, ad eccezione degli insetti, ma solo gli esseri umani? Non si può certo affermare che nel fare la guerra l'uomo non sia razionale. Eppure la guerra è irragionevole. La guerra è sempre qualcosa di irragionevole. In guerra tutti perdono. Possiamo eventualmente dire che “la guerra è un'opera umana e un orrore inumano”. O possiamo immaginarla come qualcosa di inumano in senso trascendente, di inumano nel senso dell'autonomia e della divinità di una potenza divina, la guerra come un dio”. La pulsione alla guerra va cercata e affrontata applicando l'analisi del profondo . denominato psicologia archetipica. Solo usando gli archetipi del mito possiamo affrontare e conoscere la guerra. “Per comprendere la guerra dobbiamo arrivare ai suoi miti, riconoscere che è un accadimento mitico... Fino agli abissi della crudeltà, dell'orrore e della tragedia, come fino alle altezze della sublimità mistica”. Finché ci limitiamo a disapprovare la guerra e ci vantiamo di considerarla solo “l'ultima risorsa”, non facciamo che riconoscere che la guerra “entra fra le cose prime come realtà ultima, la più potente, anzi quella determinante”. La guerra appartiene all'uomo e come tutte le cose umane, la religione, il sesso, la morte, il legame sociale, la patria, riceve significato dai miti. I miti sono la normazione dell'irragionevole e nell'identificazione è la loro virtù terapeutica. Siamo tutti appassionati voyeurs” delle guerre mediatiche e della loro infinita offerta di violenza estetizzata. La guerra afferisce alla sfera del sublime. “Si potrebbe sostenere che la guerra alla televisione, nei film e nei videogiochi apra una finestra sul sublime” Questo lo si comprende ,riguardando i nostri modelli estetici e simbolici. E oggi, nello schermo televisivo o nei fogli dei giornali, “la guerra è messa in cornice come un'opera d'arte”.

sabato 14 novembre 2015

domenica 1 novembre 2015

CHI SALIRA' IL MONTE DEL SIGNORE? Salmo 24.

CHI SALIRA' IL MONTE DEL SIGNORE?

Salmo 24.


La liturgia della Parola,in questa solennità di tutti i santi, ci aiuta a riflettere sulla nostra santità....


Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti.
Poiché egli l'ha fondata sui mari, e l'ha stabilita sui fiumi.
 3 Chi salirà al monte del SIGNORE?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
4 L'uomo innocente di mani e puro di cuore,
che non eleva l'animo a vanità
e non giura con il proposito di ingannare.
5 Egli riceverà benedizione dal SIGNORE,
giustizia dal Dio della sua salvezza.
6 Tale è la generazione di quelli che lo cercano,
di quelli che cercano il tuo volto, o Dio di Giacobbe.
 7 O porte, alzate i vostri frontoni;
e voi, porte eterne, alzatevi;
e il Re di gloria entrerà.
8 Chi è questo Re di gloria?
È il SIGNORE, forte e potente,
il SIGNORE potente in battaglia.
9 O porte, alzate i vostri frontoni;
alzatevi, o porte eterne,
e il Re di gloria entrerà.
10 Chi è questo Re di gloria?
È il SIGNORE degli eserciti;
egli è il Re di gloria.

il salmo 24 è uno dei documenti più antichi della liturgia ebraica, che ha come sfondo il rituale dell'ingresso dell'arca nel tempio di Gerusalemme. È un rituale che intende celebrare il ritorno della gloria di Dio dopo la sua "assenza" dovuta  all'esilio.
È un testo variamente interpretato nel corso della storia. C'è chi vi ha visto il tema dell'innocenza morale per accedere alla comunità liturgica. Chi vi ha visto una riproduzione dell'ascensione di Cristo al cielo. Chi vi ha visto l'incarnazione del Re di gloria, interpretando l'ingresso dell'arca nel tempio come l'apparire di Cristo nell'umanità con la sua nascita in mezzo a noi.
Ad una lettura attenta di questo salmo, nella sua attuale redazione, scopriamo che esso è articolato in tre parti che originariamente dovevano essere indipendenti, ma che poi sono state messe insieme in modo ben coordinato.
La prima parte (1-2) è un inno al Creatore e Signore del mondo.
La seconda parte (3-6) è un elenco delle condizioni morali per accedere al culto nel tempio.
La terza parte (7-10) è un inno trionfale, dialogato, che descrive l'ingresso del re di gloria nel tempio.
In effetti, il salmo risponde a tre precise domande:
1.chi ha la sovranità e il diritto di proprietà sul creato?
2.chi ha diritto di salire al monte dell'Eterno ed è degno di stare alla presenza di Dio?
3.chi ha diritto a regnare su di noi?
Anche nel salmo 15 ritroviamo le stesse domande. E questo ci fa pensare come Davide fosse fortemente coinvolto in questa tematica.

La prima domanda:A chi appartiene l'universo,e la terra degli abitanti?

Risposta:Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti.

La risposta a questa domanda si presenta come una vera confessione di fede. Possiamo dire che è la confessione di fede di Davide sulla signoria dell'Eterno. Se poi,ci riferiamo al contesto biblico di Davide,ci accorgiamo che ,questa risposta è uno dei primi articoli della teologia ebraica.
Per comprendere appieno questa verità teologica fondante,possiamo fare riferimento ,alla poesia ebraica (1 Sam. 2, 8, Es. 15; Salmo 19,1), nei salmi (50, 12; 74, 16-17; 89, 11-12; 95, 4-5; 97,5) e nella predicazione profetica (Is. 34,1; Ger. 8, 16; 47, 2; Ez. 19, 7; 30, 12; Mi. 1, 2) e deuteronomica (1, 4; 33, 16).

In questa confessione di fede, Dio è all'origine di tutto ed ha ogni diritto su tutta la creazione: "Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti".

E noi di conseguenza apparteniamo al Signore che ci ha
Prima di appartenere ai nostri genitori, alla nostra famiglia, a nostra moglie o a nostro marito, prima di appartenere o non a chicchessia, in ogni caso è certo che noi  apparteniamo a Dio .
Ogni essere umano appartiene a Dio, perché è creazione ad immagine e somiglianza di Dio (Gen. 1, 26-27; 1 Cor. 10, 26), e in virtù di questa nobile appartenenza il compito della creatura è di avere rispetto di quanto ci è stato consegnato .
Dice il Signore: "La terra è mia e voi state da me come stranieri e ospiti" (Lev. 25, 23).

Il nostro testo afferma, inoltre, che Dio "ha fondato la terra sui mari e l'ha stabilita sui fiumi" (2), mari e fiumi che sono simbolo della fragilità, della instabilità con cui l'uomo deve confrontarsi nella sua vita . Ma ciò che rimane stabile è l'azione di Dio che con la sua parola celebra la vittoria sulle forze distruttrici del caos e della morte. "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" (Lc. 21, 33).

La seconda domanda:
Chi di noi ha il diritto di salire al monte dell'Eterno ed è degno di stare alla sua presenza, dinanzi alla sua santità?

Il salmista risponde delineando un uomo, che abbia necessariamente tre caratteristiche.
a)prima caratteristica: "…innocente di manie puro di cuore;
b)seconda caratteristica: "che non eleva l'animo a vanità";
c)terza caratteristica: " e non giura con il proposito di ingannare" .
Le mani rappresentano l'azione,il cuore l'intenzione, la volontà, cioè tutto l'essere dell'uomo orientato verso Dio e la sua legge. E tutte due insieme rappresentano l'essere umano nelle sue scelte religiose, morali e sociali.
La seconda caratteristica (verticale): "che non eleva l'animo a vanità"esprime una vita religiosa e spirituale che sia contro ogni forma di idolatria e che ponga Dio al centro della esistenza. E' una scelta di comunione con Dio (Salmo 31, 7; Os. 4, 8).
La terza caratteristica (orizzontale): "e non giura con il proposito di ingannare"esprimela vita dell'uomo nella dimensione sociale della morale che trova nel decalogo la sua prescrizione: "Non attestare il falso contro il tuo prossimo" (Es. 20, 16 e Deut. 5, 20).

Ma quale uomo ha i requisiti per essere dichiarato degno di stare alla presenza di Dio?
Chi potrà salire al monte santo, chi potrà stare nel suo luogo santo a pieno diritto?

L'apostolo Paolo nell'epistola ai Romani mette a nudo la natura umana e afferma che gli tutti gli uomini sono:"…ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati" (Rom. 1, 29-31) ed afferma:
"Non c'è alcun giusto, neppure uno. Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno» . (Rom. 3, 10-12).

Non c'è alcun giusto, n


Dopo aver dichiarato che "tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, indegni a comparire alla presenza di Dio, Paolo rivela che Dio imputa la sua giustizia a tutti coloro che ripongono la loro fede in Cristo Gesù e sono dunque "gratuitamente giustificati per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù"
E Paolo continua:"Lui ha preordinato per far l'espiazione mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare così la sua giustizia per il perdono dei peccati, che sono stati precedentemente commessi durante il tempo della pazienza di Dio" . Egli, Cristo, è l'unico che abbia potuto pagare il prezzo della nostra salvezza e della nostra accettabilità davanti a Dio.
Infatti, Cristo è venuto"…per manifestare la sua giustizia nel tempo presente, affinché egli sia giusto e giustificatore di colui che ha la fede di Gesù".
Cristo, il giusto, riveste della sua giustizia il peccatore credente, che con questa giustizia, non sua, ma ricevuta per grazia, può presentarsi di fronte a Dio.
"Chi salirà al monte del Signore? Chi starà nel suo santo luogo?"
E' l'uomo Gesù Cristo che nel suo cammino di abbassamento e di umiliazione, dopo aver lenito tutte le nostre ferite e portato tutti i nostri dolori, uomo sofferente, ubbidiente fino alla morte, può rappresentarci a pieno titolo dinanzi al Padre e, dunque, portarci alla Sua presenza.
Solo colui che è disceso dal cielo, può risalire al cielo (Gv. 3, 13).
Solo chi si è abbassato, può essere innalzato (Fil. 2, 8-9).
Non sono le nostre opere, i nostri meriti, i nostri sforzi morali, religiosi e sociali a permetterci di andare alla presenza del Padre, ma soltanto il perfetto cammino di Gesù tra noi, uomo tra gli uomini.

Questa rimane una condizione fondamentale per il credente,la sequela come adesione interiore,possiamo dire anche,la sequela come amore incondizionato,che presiede ogni attività e amore terreno. La sequela come cammino educativo della nostra animalità e contemplativo della nostra spiritualità.

TERZA DOMANDA:Chi ha il diritto di regnare su noi?

C'è, in questo tratto finale nel nostro salmo, un inno che celebra la figura di un "re della gloria", che entra trionfalmente nella città di Gerusalemme per andare a prendere dimora nel tempio come unico e legittimo pretendente al trono. E' rivestito di gloria, cioè dello splendore della sua maestà.
Se nei passi precedenti si è celebrata la sovranità di Dio come creatore, la sua giustizia e la sua salvezza come redentore, qui si canta la vittoria del re che alla testa dei suoi eserciti celesti prende possesso di ciò che gli appartiene.

Gesù, verso la fine del suo ministero terreno, è entrato in Gerusalemme nel tempio. La folla lo ha acclamato con le grida: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il regno di Davide, nostro padre! Osanna nei luoghi altissimi!"(Mc. 11, 9-10). Vi è entrato come re su un'asina, secondo la profezia di Zaccaria (9, 9), in un mesto silenzio personale.
Questa Gerusalemme lo ha fatto soffrire e gli ha dato la morte.
Ma la vera Gerusalemme che lo ha accolto e che gli ha aperto le proprie porte per dargli il posto come Re dei re, Signore dei Signori e Salvatore è un'altra.
La vera Gerusalemme è la sua chiesa, la sua sposa, costituita da tutti i riscattati dal sacrificio di Cristo e che il discepolo Giovanni vede nella sua visione nell'Apocalisse.
Dunque, il diritto a regnare su di noi è di Colui che ha dato la sua vita per noi e che noi abbiamo accolto capo e maestro della chiesa spirituale,sponsale che appartiene a un regno che non è di questo mondo (Ef. 1, 22-23; Col 1, 18).
Noi possiamo salire al monte,solo se facciamo nostre le caratteristiche descritte dal salmo. Possiamo salire al monte se mani e lingua sono purificati. Possiamo salire al monte e abitarvi solo se non dimentichiamo di essere tralci inseriti nella vite,figli, legati al pastore unico,terreno che sa quotidianamente accogliere la Benedizione,perché da soli non possiamo nulla,con Lui possiamo tutto. Siate santi come io sono santo.

+Padre Mario Metodio