domenica 26 aprile 2015



IO SONO IL BEL PASTORE
GV 10

La liturgia della Parola di questa domenica ci propone una riflessione molto particolare circa la Persona di Gesù.
Per comprendere nella sua totalità, quanto questo racconto ci vuole comunicare, cominciamo a precisare subito che nel  testo greco ,troviamo non  scritto agazòs (agaqos=buono), ma kalòs (kalos=bello), dove l'aggettivo "bello" sta per "che va bene", "giusto".
Questa iniziale precisazione .non è marginale, perché ci toglie ogni dubbio, circa le caratteristiche del pastore, qui inteso .Non il buono ma il giusto, il vero. Un’altra considerazione contestuale è il fatto che in realtà  Giovanni parla in realtà di due differenti “ovili”, dal primo dei quali trae fuori e nel secondo dei quali fa entrare, perché sia possibile “entrare, uscire e trovare pascolo”. Gesù non è solo il “bel pastore” che muore per salvare le pecore che vengono aggredite dal male, ma è, prima ancora, colui che le “fa uscire fuori” perché entrino “in suo potere”, nella sua salvezza.
Il punto essenziale da mettere in chiaro, è quel che bisogna intendere qui per «recinto delle pecore».
 La parola αυλή che abbiamo tradotto con «recinto», si incontra 177 volte nella Bibbia greca, ma non è mai riferita a un recinto di pecore. Nel maggior numero dei casi (circa 115 volte), indica il vestibolo davanti al tabernacolo o al Tempio (per es. Es27,9; 2Cr6,13;11,16; Ap11,2). Il termine ricompare anche in un altro punto del quarto vangelo (18,15), dove sta ad indicare il cortile del sommo sacerdote.
I termini del nostro versetto evocano perciò irresistibilmente una situazione analoga a quella del Sal 100 (99),3-4: «Sappiate che lui, JHWH, è Dio... noi siamo il suo popolo e le pecore del suo pascolo. Entrate nei suoi portici, rendendo grazie, entrate nei suoi recinti (εις τας αυλας αυτου con degli inni». In Gv l0,1, il recinto delle pecore sta ad indicare metaforicamente il luogo santo di Israele, il Tempio di Gerusalemme (o il suo vestibolo), che rappresenta e simboleggia il giudaismo teocratico. Il pastore delle pecore, colui che entra per la porta, è Gesù, nuovo Pastore di Israele, che, in effetti, si è presentato al Tempio di Gerusalemme, per rivelarsi ai Giudei durante la festa dei Tabernacoli (7,14).

il ladro e il brigante. Bisogna tener presente, infatti, che a quell'epoca il termine brigante (ληστής) nel mondo giudaico serviva molto spesso a designare dei partigiani ribelli, in particolare i membri del partito pseudomessianico degli Zeloti, che cercavano di liberarsi con la violenza dalla dominazione romana, per instaurare un potere giudaico nello stesso tempo politico e religioso.  molto probabilmente è appunto in questo senso che viene utilizzato il termine nei vangeli: Barabba era un «brigante», ci dice Giovanni (18,40); ma gli altri evangelisti ci forniscono informazioni più precise: Barabba era un prigioniero «famoso» (Mt27,16) ed era stato arrestato per «una sommossa verificatasi nella città» (Lc23,19). Diversi autori recenti ritengono che Barabba abbia avuto una parte importante nella ribellione degli Zeloti contro i Romani.

Nel nostro passo di l0,1, i termini «ladro» e «brigante» probabilmente devono riferirsi a personaggi dello stesso genere. Le parole «colui che non entra attraverso la porta..., ma penetra per un'altra via» costituiscono la solenne entrata in materia di tutto il discorso: si capiscono perfettamente come un'allusione di Gesù a un recente tentativo degli Zeloti di impadronirsi del potere entro il recinto stesso del Tempio; questa ribellione è un fatto storico certo. Ma si può generalizzare la portata del testo e vedervi un'allusione al complesso dei movimenti pseudo-messianici dell'epoca: su questo sfondo storico si staglia in un vivo contrasto la missione messianica di Gesù stesso. La prima parte del discorso segreto mescola perciò le allusioni storiche e il linguaggio figurato (il recinto delle pecore, il pastore delle pecore), ma il suo significato è abbastanza chiaro: contrariamente ai falsi messia del suo tempo (Zeloti o altri), Gesù è entrato per la via normale del Tempio, alla festa dei Tabernacoli; si è presentato legittimamente al popolo giudaico, per rivelarsi a lui come suo Pastore, come il vero Messia. Bisogna avere presenti qui i lunghi sviluppi che precedettero: la grande rivelazione di Gesù nel Tempio, poi la guarigione del cieco nato, che termina con la terribile sentenza di Gesù sulla cecità dei Giudei e il loro peccato che rimane (9,39-41). Al cap. l0, Gesù adotta allora un linguaggio figurato, enigmatico; ma l'insegnamento di questo capitolo rimane sostanzialmente lo stesso: ha ancora sempre come oggetto la missione messianica di Gesù.

La seconda parte del discorso enigmatico (vv. 3c-5) è teologicamente la più importante. «Le sue pecore, (il Pastore) le chiama ad una ad una e le fa uscire». Tutte le pecore del recinto (cioè tutti i Giudei) hanno potuto conoscere la dottrina di Gesù (cfr. 18,20), ma solo alcune di esse sono «le sue pecore», cioè quelle che gli sono state date dal Padre (v. 29; cfr. 6,37.39; 17,2.6.7.9.24). In virtù di questo dono, Gesù potrà dire che sono «nella sua mano» (v. 28); per la stessa ragione ancora, all'ultima Cena, potrà considerare i discepoli come «i suoi» (13,1). A questa predisposizione da parte del Padre corrisponde una chiamata da parte di Gesù: «Egli le chiama ad una ad una» (cfr. anche Rm8,38). È il primo atto della costituzione di un nuovo gregge ad opera di Gesù.

Le sue pecore, il Pastore le «fa uscire» (εξάγει) dal recinto. Il verbo qui utilizzato dall'evangelista è un termine tecnico del vocabolario dell'Esodo: Dio «fece uscire dall'Egitto» il suo popolo, i figli di Israele (Es3,l0; 6,27 ecc.; cfr. At7,36; 13,17; Ebr8,9); allo stesso modo più tardi, al momento del secondo Esodo, li «farà uscire» da in mezzo ai popoli (Ez34,13). L'idea evocata da questa parola è chiara: «far uscire», significa liberare dalla schiavitù. È considerevole, e nello stesso tempo tragico, che questo termine, un tempo utilizzato per indicare la fine della cattività di Israele, debba ora venir usato contro lo stesso Israele: dal popolo giudaico infatti, i cui occhi si sono accecati alla vera luce dei tempi messianici, Gesù-Messia deve ormai «far uscire» le sue pecore, come una volta dall'Egitto.

Ma per afferrare tutte le implicazioni di questa idea nell'economia generale della vita di Gesù, bisogna collegarla con il racconto precedente, quello del cieco nato, in cui era già stata formulata. Per quest'uomo del popolo, Gesù all'inizio non era che uno sconosciuto (9,11). Ma, dopo la guarigione, nel corso della controversia con i Giudei, scopre progressivamente in lui un profeta (v. 17), un inviato di Dio (v. 33), il Figlio dell'uomo (vv. 35-37), diventando così il tipo stesso del credente. I Giudei, invece, che si credevano cosi chiaroveggenti in materia religiosa, sono diventati totalmente ciechi di fronte alla luce del mondo (vv.39-4l; cfr. v.5). Ora, constatando l'attaccamento dell'ex-cieco a Gesù, «essi lo gettarono (εξέβαλον) fuori» (9,34). In questo momento si compie la discriminazione (κρίμα) di cui parlerà Gesù alla fine della controversia (9,39), discriminazione che prefigura e annuncia la rottura tra la Chiesa e la Sinagoga (αποσυνάγωγος, 9,22). E’ molto significativo che nei vv. 3-4, che analizzavamo in questo momento, l'evangelista abbia utilizzato due termini, diversi per esprimere la stessa idea: prima di tutto il verbo εξάγει che evoca il tema dell'Esodo; poi il verbo più forte εκβάλλειν, ripreso in 9,34, dove era stato usato a proposito del cieco nato: Gesù «fa uscire» le sue pecore, le «mette fuori»; così viene ripreso e sanzionato il comportamento degli stessi Giudei, i quali avevano escluso dalla sinagoga il cieco nato guarito da Gesù e divenuto suo discepolo. La chiamata del Pastore alle sue pecore nel recinto giudaico diventa così il primo atto di una separazione radicale, quella che contrapporrà l'antico gregge Israele e il nuovo, il giudaismo e la Chiesa.

I rapporti tra il Pastore e le sue pecore sono descritti in questi termini: «Egli cammina dinanzi ad esse e le pecore lo seguono». Come per il verbo precedente, l'evangelista utilizza di nuovo il vocabolario-tipo del ciclo dell'Esodo: «JHWH vostro Dio che cammina in testa a voi combatterà per voi» (Dt1,30; cfr. Sal68 [67],8; Mi2,13). Nel quarto vangelo, il verbo «camminare (πορεύεσθαι)» è quasi sempre riferito a Gesù in rapporto alla sua missione, che è un nuovo Esodo (cfr. 14,2.3.12.28; 16,7.28). Il Pastore, che cammina davanti alle sue pecore, si presenta perciò come il nuovo capo del popolo di Dio. Le pecore lo «seguono»: è la docilità essenziale del discepolo verso il Maestro (cfr. 1,37.38.41.43; 8,l2; 12,16; 21,19.22), fondata sul fatto che esse conoscono la sua voce. Questi temi verranno ripresi con maggior insistenza nella seconda parte del discorso (vv. 14-16) e nelle dichiarazioni conclusive di Gesù alla festa della Dedicazione (v. 27)...

Bisogna interpretare la formula «la porta delle pecore» nel senso che Gesù è la porta che dà accesso presso le pecore, oppure è la porta per le pecore stesse, per permettere loro di entrare ed uscire? La prima interpretazione si basa sui vv. 1-2, in cui effettivamente la porta consente di entrare dalle pecore, all'interno del recinto. Tuttavia, anche nel discorso segreto, il pastore era entrato nel recinto solo per farne uscire le pecore. Inoltre, dal v.1 al v. 7, il pensiero progredisce; al punto in cui siamo, le pecore sono già fuori; tutta l'attenzione si concentra ormai sull'opera del Cristo; «il recinto» (del giudaismo) ha terminato la sua funzione. Perciò si capisce come in questo v. 7 la parola αυλή non sia più ripetuta, si capisce come Gesù non dica: «lo sono la Porta del recinto» (il che a prima vista sembrerebbe più ovvio, ma ci rimanderebbe al v. 1). La «porta», qui, non ha più nulla a che vedere con il recinto, che le pecore hanno già abbandonato; deve essere interpretata di per sé: Gesù è la porta delle pecore.


tutto si concentra su Gesù: è attraverso di lui che bisogna «entrare» per essere salvati.
 La porta non è soltanto un luogo di passaggio attraverso cui si «entra», appartiene già al recinto stesso.. Riferita a Gesù, l'immagine della porta non significa perciò soltanto che attraverso di lui si accede alla salvezza e alla vita; indica inoltre che le pecore trovano questi beni in lui. In altre parole, Gesù non è soltanto la Porta, la via di accesso; è anche il nuovo recinto, il nuovo Tempio, in cui i suoi possono ottenere i beni messianici. Si ritrova qui il tema di Gesù nuovo Tempio, enunciato da S. Giovanni fin dall'inizio del suo vangelo (2,13-22).


Probabilmente, l'immagine della porta, con tutto quel che suggeriva il suo retroscena biblico, era più adatta ad esprimere simultaneamente due idee connesse: da una parte, quella di entrata, di mediazione; dall'altra, quella di ambiente vitale, di comunione. Sono le due idee che ricompariranno nel testo parallelo così suggestivo di 14,6: «Io sono la Via, la Verità e la Vita»; Gesù è la Via verso il Padre, il mediatore perfetto che ci fa accedere alla vita del Padre; ma è nello stesso tempo la Vita: in Gesù stesso troviamo la vita del Padre, perché lui, il Figlio Unigenito «tornato ormai nel seno del Padre» (1,18), la possiede in se stesso in pienezza.

Il v. 9 riprende la metafora del v. 7, ma sotto una forma più breve; Gesù, questa volta, dice semplicemente: «Io sono la Porta» (senza aggiungere «delle pecore»): l'attenzione si concentra maggiormente sulla sua persona e sulla sua opera. Attraverso questa «porta», attraverso Cristo stesso («attraverso di me»), deve passare ogni uomo per ottenere la salvezza. Si noterà di nuovo un silenzio significativo del testo: Gesù non dice a quale luogo o a quale recinto egli, come Porta, dia accesso; la ragione, come abbiamo detto, è che l'ambiente in cui le pecore devono entrare è strettamente legato alla persona di Gesù stesso; questo «ambiente» non è altro che la comunione con lui.

La promessa fatta da Gesù a chiunque entrerà attraverso di lui, è espressa nei vv. 9-10 da diversi verbi che aprono una prospettiva sul futuro. L'espressione «entrerà e uscirà»  Tutti sanno che «entrare e uscire» è un'espressione semitica per indicare la totalità mediante l'opposizione tra due termini contrari; serve a descrivere il complesso dell'attività esteriore di qualcuno, la totale libertà di tutti i suoi movimenti, di tutti i suoi passi. Nel nostro contesto, il significato della formula probabilmente è il seguente: chiunque «entrerà» attraverso la porta che è Gesù «entrerà e uscirà», godrà di una comunione senza intralci con Gesù.

«Chi entrerà attraverso di me sarà salvato». Di quale salvezza vuol parlare Gesù? In S .Giovanni, questo verbo, riferito all'opera di Gesù, è sempre utilizzato in un senso religioso e si trova a volte in parallelo con «avere la vita eterna» (3,15.16.36). «essere salvato», significa ottenere la vita che Cristo ha dato in abbondanza alle sue pecore (v. l0). Questo significato è d'altronde confermato dall'espressione parallela «troverà il proprio pascolo». Nell'AT, in particolare tra i profeti, la metafora del pascolo designava già spesso la salvezza, in particolare la salvezza dei tempi messianici (cfr. Os13,5-6; Is 49,4-10; Ger 23,1-8; Ez 34,13; Sal 23,2).

«Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». Gesù descrive in queste parole tutto il senso della sua venuta, della sua Incarnazione. Qui, come negli altri casi in cui si serve ancora del verbo: «Io sono venuto» all'aoristo (ηλθον cfr. 12,27.47) indica il significato finale della sua opera, quello che vuole realizzare al termine della sua missione tra gli uomini, al momento della sua «ora»: questa meta finale è salvare il mondo (12,47), è dare agli uomini la «vita» in abbondanza. La vita che darà, è la vita divina, quella vita che, come Figlio di Dio, possiede già in se stesso (cfr. 1Gv5,11-12)..

Gesù ha delle pecore «che non sono di questo recinto»;
sono quelle che vengono invitate ad entrare nel gregge, senza provenire dal giudaismo, in altre parole, i credenti originari della gentilità. Abbiamo qui uno di quei testi fondamentali che dimostrano in modo non equivoco l'apertura universalistica dell'ecclesiologia giovannea. Lo stesso universalismo si ritroverà un po' più tardi nel racconto del martirio di un discepolo di Giovanni, Policarpo: «Nostro Signore Gesù Cristo, il Salvatore delle nostre anime, il Pastore della Chiesa universale sparsa su tutta la terra» (Mart. Polycarpi, 19,2).

Un attento confronto tra il discorso segreto (vv. 1-5) e il v. 16 fa apparire diverse differenze significative tra i due gruppi di pecore. Contrariamente a quelle del «recinto», Gesù non dovrà «far uscire» le altre sue pecore, giacché non sono tutte raggruppate in un posto unico, ma disperse ovunque (cfr.11,52): «Esse popolano il mondo intero». Altro particolare: ai vv.4-5, i verbi erano al presente, perché Gesù parlava ancora della sua immediata funzione nei confronti dei suoi venuti dal giudaismo. Al v. 16, i verbi sono al futuro, perché la prospettiva si apre sull'avvenire: l'ingresso dei gentili nella Chiesa avrà luogo solo dopo la morte e la risurrezione di Gesù.
Nei confronti dei due gruppi di pecore, il Pastore esercita tuttavia una funzione identica. Che cosa fa per quelle che ha condotto fuori del recinto? «Cammina davanti ad esse» (v. 4). Per le pecore che non sono del recinto, Gesù dice analogamente che deve «condurle» (v. 16). In un caso come nell'altro, il testo omette di dire dove Gesù conduca le sue pecore. Sarebbe un errore voler precisare troppo, dicendo per esempio che le conduce alla vita eterna. Tutto il peso cade essenzialmente sui rapporti personali tra Gesù-Pastore e i suoi: se questi sono realizzati, il gregge è costituito, la comunione esiste, il fine è raggiunto...


È perciò proprio Cristo il principio ultimo dell'unità. Per questa ragione, tutto l'accento cade qui sulle due parole poste enfaticamente alla fine del versetto: «un solo Pastore». L'espressione sembra provenire da Ezechiele, che aveva annunciato per l'avvenire un nuovo David, un unico pastore (34,23; 37,24). Questa promessa era legata nel profeta alla speranza della restaurazione dell'unità di Israele (37,22) e del raggruppamento dei dispersi in un popolo unico (37,17-22.24). Ma in S. Giovanni, la prospettiva non è direttamente quella dell'unità dei Giudei e dei pagani nella Chiesa, come in S .Paolo (Ef2,11-12; 4,3-5); l'accento cade piuttosto sul fatto che tutti avranno lo stesso Pastore. La Chiesa viene descritta qui come la comunità dei credenti, raggruppati intorno ad un Pastore unico, Cristo, e in vivente comunione con lui.
Lui è la porta, lui è l’ovile, si entra e si esce attraverso di Lui. Ogni altra porta è ingresso a un cammino, frammentario, sconnesso, infecondo, poiché all ’uscio di questa porta, sovraintende il mercenario, il quale non conosce  i nomi delle pecore e le pecore non ascoltano la sua voce .Quando i pastori umani ,si sostituiscono al Bel Pastore,  agiscono come il mercenario, disperdendo il gregge, scandalizzando i piccoli e deturpando la bellezza di Dio ,presente nei fratelli.

+Mario Metodio.





















giovedì 23 aprile 2015

Il discorso degli ulivi

DISCORSO SUL MONTE DEGLI ULIVI

Marco 13,14-37
Mai come oggi questa Parola è attuale, profetica ,escatologica.
Voglio invitare tutti a riflettere su questa pericope evangelica, perché qui troviamo la radice profonda del nostro andare alla deriva, come ministri come cristiani come credenti, come umanità. Abbiamo in tutti i modi, permesso al principe di questo mondo di entrare nella casa del Signore .Molti pensano di parlare in nome di Dio ,ma dai loro frutti si capisce che hanno sposato un dio idolatrico ,un dio che non può salvare ne portare salvezza.  Solo questa Parola, che è buona novella ci salverà, perché Cristo ha già vinto.

Ed essendo lui uscito dal tempio gli dice uno dei suoi discepoli: Maestro, guarda quali pietre e quali costruzioni!
Coloro che frequentano con Gesù la casa del Signore sono tentati di osservare ogni  sua grandezza e magnificenza. E non è certo questa una prerogativa del popolo eletto; perché da sempre l’uomo, in ogni parte del mondo, ha cercato di erigere alla divinità tempi bellissimi e imponenti. E’ una costante nella storia e non conosce sosta ed interruzione se non ai nostri tempi, dove il sentimento religioso si è notevolmente affievolito.
Gli Ebrei, piccolo popolo, hanno voluto innalzare a Javè un tempio unico che attestasse l’unicità del loro Dio. Il tempio di Gerusalemme era considerato una delle sette meraviglie del mondo e poteva ben gareggiare con le costruzioni delle grandi potenze dell’antichità. Ancor oggi molti cristiani vedono innanzitutto le chiese come scrigni preziosi di opere d’arte. Molto si dice e molto si fa per le chiese: più per le strutture in pietra che per l’edificio spirituale.
2 E Gesù gli disse: Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà affatto lasciata qui pietra su pietra che non sia distrutta.
L’entusiasmo e la meraviglia per tanto splendore materiale vengono subito raffreddati da Gesù. Ciò che appare sotto gli occhi ed è concretamente tangibile è destinato a perire. Non è questo il tempio di Dio che dura in eterno.
3 Ed essendo lui seduto sul monte degli Ulivi di fronte al tempio lo interrogava in disparte Pietro e Giacomo e Giovanni ed Andrea:
Le parole di Gesù sono già giunte alle orecchie dell’intero gruppo degli apostoli e hanno suscitato   viva impressione ed un desiderio di intendere meglio e di saperne di più. E quando Gesù le spara grosse non è bene fare un pubblico interrogatorio, ma è meglio sia chiamato in disparte dai discepoli più stimati. Siano loro a fare delle domande, senza apparire indiscreti.
4 Di’ a noi:
Non perché siamo migliori dagli altri ma perché possiamo garantirti che nessun pettegolezzo uscirà dalla nostra bocca ed ogni cosa resterà in famiglia.
quando saranno queste cose e quale il segno quando staranno per compiersi tutte queste cose?
Se il tempio di Gerusalemme è destinato alla distruzione materiale, giova sapere quando avverrà tutto questo e quali segni premonitori saranno dati. Una cosa gli apostoli mettono subito in chiaro con Gesù: non sono spinti da banale curiosità, ma ben hanno compreso l’importanza e la serietà dell’evento che non può e non deve cogliere gli animi impreparati. E’ del tutto giustificato l’interesse per il quando e per i segni che saranno dati: i discepoli vogliono essere trovati pronti e non come coloro che dormono nel sonno della morte.
5 Allora Gesù cominciò a dire a loro: Guardate che qualcuno non vi inganni; 6 molti verranno nel mio nome dicendo: Io sono, e molti inganneranno.
Se i discepoli non vogliono trovarsi impreparati di fronte all’evento, prima ancora di sapere il quando, giova vengano istruiti riguardo ai modi e ai tempi dell’attesa. Molte insidie e pericoli ci separano dal grande giorno. Innanzitutto c’è l’inganno che viene dagli uomini. Perché molti verranno nel nome di Gesù, proclamando falsamente il nome di Dio. Nel momento stesso in cui affermano il nome di Dio (Io sono ), ecco, la  loro trappola è già scattata e molti ne ha presi.
Una considerazione è d’obbligo: quando si parla di perdizione e di ciò che ad essa conduce, l’accento cade solitamente sul peccato dei singoli e sulla cultura e mentalità che ad esso conducono. Ma qui l’inganno primo è dipinto a vivi colori in carne ed ossa e porta il nome dell’uomo. Di quale uomo? Di colui che appare peccatore o al contrario di colui che appare come profeta dell’Altissimo? Come all’inizio così alla fine: Satana ingannerà gli uomini presentandosi come angelo di luce. Non c’è migliore modo di fare caccia che addormentare le prede con lusinghe e false adulazioni riguardo al bene. E tutto questo sarà fatto da uomini che parlano in nome di Dio. Prima ancora di premunirci contro coloro che bestemmiano il nome del Signore dobbiamo stare in guardia da coloro che parlano in Suo nome, vantando una conoscenza ed un’amicizia con Dio false ed ingannevoli. E’ un dato ed un fatto indiscutibili: l’inganno passa innanzitutto per bocca dell’uomo: e non si tratta di pochi o di alcuni, ma dei molti. Molti verranno… e molti inganneranno.
Non si deve pensare ad un modo di vedere alquanto malizioso nel confronto degli altri ( dei preti innanzitutto ) e neppure di un facile giudizio sulle masse: è parola di Gesù.
Possiamo anche credere nella buona fede di coloro che sono nella chiesa, nella loro sincerità ed onestà: non sembra che il Cristo sia così largo di manica.
7 Quando però udrete guerre e rumori di guerre, non turbatevi: è necessario accada, ma non sarà ancora la fine.
Dopo l’inganno portato avanti dal Satana nelle sembianze dell’uomo di Dio, ecco le conseguenze estreme e ben visibili del peccato. Cos’altro è la guerra se non il prodotto più alto, più concreto ed indiscutibile del peccato? Perché Gesù distingue tra l’udire guerre e rumori di guerre? Ci sono guerre già in atto ed altre il cui rumore è  nell’aria. E’ una fatale necessità della storia, perché il peccato deve manifestarsi nelle sue forme estreme, non solo per bocca dei falsi profeti, ma anche per le mani dell’uomo. Non turbatevi! E come è possibile questo se non per  chi ha intelligenza del peccato? Chi conosce l’uomo, a cominciare da se stesso, sa bene che non può finire diversamente, e che non ci sarà vittoria piena del bene sul male se non quando questo avrà portato al culmine l’opera sua. Ma quale più precisamente il tempo? Non ha importanza sapere quando: giova sapere che avverrà di necessità assoluta. Ma non sarà ancora la fine.

8 Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno, ci saranno terremoti in vari luoghi, ci saranno carestie:
Verrà meno ogni rapporto pacifico dell’uomo con l’uomo. Sarà scossa ogni stabilità di questo mondo e la terra non darà più i suoi frutti: nazione contro nazione, terra e natura contro ogni uomo. Nessuna amicizia sarà più trovata dalle creature di Dio, né  con i propri simili e neppure con quel creato che è stato posto al suo servizio. E tutto questo non verrà all’improvviso, ma in un crescendo progressivo e necessario. Guerre, terremoti, carestie non sono un novità:  la novità va trovata nell’aggravarsi della situazione e nella ineluttabilità della fine.
l’inizio delle doglie saranno queste cose.
In un quadro così drammatico e tragico, ecco  uno spiraglio di luce in controtendenza con lo spirito del discorso. Perché da tutti è risaputo che ogni parto è preceduto non solo dalle doglie, ma anche da una grande attesa e da una speranza per l’uomo che verrà alla luce. Dobbiamo dunque rattristarci perché l’ora è vicina? Niente affatto! La vita nuova è alle porte. Se è sicura la fine di questo mondo, è altrettanto sicuro l’avvento di un altro. E’ già stato concepito e i segni di disfacimento dell’esistenza in atto, benché dolorosi, preannunciano la nascita ad altra vita.
9 Ma guardate a voi stessi:
La fine di questo tempo non ci vedrà semplicemente spettatori inermi e passivi, al contrario saremo testimoni in prima persona della vita nuova che è alle porte. Pensiamo dunque ai fatti nostri ed al nostro bene. E’ già in atto una grande chiamata dei figli di Dio, perché annuncino al mondo perduto la venuta di Cristo Salvatore. Ma non avverrà in maniera pacifica e senza spargimento di sangue.
vi consegneranno nei sinedri e nelle sinagoghe sarete percossi
Cosa accadrà innanzitutto ai discepoli? Saranno perseguitati dalla società, a cominciare da quella religiosa. Quando si parla di persecuzioni, il pensiero corre subito all’ostilità che i cristiani troveranno da parte dell’impero. In molti casi si arriverà alla violenza e alla soppressione fisica. Ma questo va visto piuttosto in quanto segue: e starete davanti a governatori e re a causa di me a testimonianza per loro.
Vi è innanzitutto una persecuzione che è fatta all’interno della comunità dei credenti e non necessariamente in forma aperta, ma più spesso in forma velata e nascosta. Cosa vuol dire essere consegnati nei sinedri? Vuol dire essere messi sotto osservazione dalla comunità dei fedeli, in quanto portatori di una speranza diversa e per questo sospetta e degna di indagine e di giudizio.
Non sempre si è cacciati fuori come eretici, più spesso si è tenuti all’interno come membri malati e  degni di esame e correzione. E questa è una prova ed una grande sofferenza, quando la comunità tende ad escluderti dal suo grembo in quanto eccezione e modello negativo, da cui bisogna stare in guardia. Sotto le parvenze di una falsa carità vi è chiusura al dono di Dio.
L’eretico molte volte si trova in una posizione diversa: è lui che  rigetta la chiesa e si fa suo giudice e la condanna alla perdizione. Non ogni giudizio degli uomini di chiesa va rigettato, ma soltanto quello che viene dal rifiuto di Cristo e dalla durezza di cuore di fronte all’opera dello Spirito Santo.
Si può essere perseguitati dalla chiesa a vario titolo: perché si fa il male e perché si fa il bene. Va rigettata come peccato e come una colpa ogni violenza fisica e psichica che si ponga contro la libertà di coscienza. Non si può andare oltre la condanna verbale e formale.
e nelle sinagoghe sarete percossi.
Va inteso innanzitutto in senso spirituale. Se è accaduto anche in senso materiale, il discorso deve essere circoscritto ad una certa epoca storica: oggi non sarebbe più attuale. Rimane e rimarrà fino alla fine l’emarginazione dei figli della luce da parte dei figli delle tenebre.
10 E a tutte le nazioni per primo è necessario annunciare la buona notizia.
In un quadro così desolante di totale distruzione ed annientamento di ogni forma di verità e giustizia, la Parola di Dio manifesta la sua necessaria priorità rispetto a tutto il resto. Tutto verrà meno, ma non deve venire meno l’annuncio della Parola. Solo in questo modo nelle tenebre del mondo potrà risplendere fino alla fine la luce che indica la via della salvezza.
Dio permetterà una simile desolazione, ma non lascerà l’umanità senza speranza e questa speranza passa attraverso le vie dell’annuncio del Vangelo.
11 E quando vi condurranno consegnandovi, non preoccupatevi di cosa dire, ma ciò che sarà a dato a voi in quell’ora questo dite; infatti non siete voi  i parlanti ma lo Spirito Santo.
Dio stesso si farà garante della sua Parola per bocca degli apostoli. Perché non sarà l’uomo a parlare, ma lo  Spirito Santo. L’annuncio del Vangelo interessa soprattutto il Signore e deve essere bandita dai suoi messaggeri ogni preoccupazione riguardo al cosa dire. Vi è una divina ispirazione della Parola che esce dalla bocca degli apostoli che non può essere messa in discussione. Nessuna premeditazione o costruzione artificiosa del pensiero per trascinare nell’inganno, ma la semplice ripetizione di ciò che viene messo sulla bocca da Dio stesso.
12 E il fratello consegnerà a morte il fratello ed il padre il figlio e sorgeranno i figli contro i genitori e li faranno morire; e sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma l’avente resistito fino alla fine questi sarà salvato.
La Parola che è data da Dio per radunare intorno a Cristo Salvatore non farà alcuna violenza alla libertà creata. Perché se da un lato unirà per la vita eterna, dall’altro dividerà per la dannazione eterna. In una stessa famiglia si farà il giudizio dell’uno verso l’altro o degli uni verso gli altri: l’annuncio, che è vita, sarà inteso come un annuncio di morte e si prenderanno le dovute distanze ed i necessari provvedimenti. Non si dovrà arrivare necessariamente ad una soppressione fisica. Si consegna a morte l’altro e si fanno morire gli altri quando le speranze riguardo alla vita si trovano su piani diametralmente opposti e contrari.
e sarete odiati da tutti a causa del mio nome
Cosa devono dunque aspettarsi dagli altri i discepoli che annunciano il nome di Cristo? Una condanna a morte in famiglia e l’odio da parte di tutti.
ma l’avente resistito fino alla fine questi sarà salvato.
Non si giunge a salvezza senza perseveranza e non si arriva alla vittoria finale senza una costante e tenace resistenza. Perché il Satana farà guerra su tutti fronti, su quello interno ( famiglia ) e su quelli esterni ( tutti ).
14 Quando poi vedrete l’abominio della desolazione stare dove non bisogna,
Abominio della desolazione è l’idolo figura del Satana. Quando il Diavolo avrà messo piede nella stessa casa di Dio…
il leggente capisca,
Non c’è bisogno di tante spiegazioni: capisca chi legge quello che si vuole dire.
15 chi è sul tetto non scenda né entri a prendere qualcosa dalla sua casa,
Chi è trovato sulla parte più alta della sua casa, già proiettato verso il cielo, non venga giù né ritorni a prendere qualcosa dalla sua dimora terrena. Niente di questa vita porteremo in cielo e di nulla abbiamo bisogno per andare incontro al Signore se non della fede.
16 e chi è nel campo non ritorni indietro a prendere il suo mantello
Chi ormai è in campo o in ballo per la salvezza non torni indietro a prendere il suo vecchio mantello. Alla luce del Dio che viene non c’è nulla da coprire e da nascondere.
17 Guai alle donne aventi in ventre ed alle allattanti in quei giorni.
Guai alle donne che devono partorire a questa vita quando già si affaccia quella eterna. Così pure chi allatta vedrà strappato il frutto del suo grembo.  Felici coloro che sono ormai liberi e sciolti dal travaglio e dalle aspettative di una generazione terrena!
18 Pregate affinché non venga d’inverno.
C’è un solo inverno che può cadere nello stesso tempo in tutte le parti del mondo: è quello del cuore. Preghiamo per non essere trovati spiritualmente impreparati e vestiti alla leggera in modo inadeguato.
19 Saranno infatti quei giorni una tribolazione quale non ci fu simile dall’inizio della creazione che Dio creò fino ad ora e non vi sarà affatto.
Se la vita fin dall’inizio è una continua tribolazione, l’ultima non avrà confronto o paragone.
20 E se non abbreviasse il Signore i giorni non si salverebbe nessuna carne;
Come può Dio abbreviare i giorni se non rafforzando il cuore dell’uomo? Il tempo  è breve o lungo a seconda di come veniamo da esso trovati.
ma a causa degli eletti che elesse abbrevierà i giorni.
Per gli eletti i giorni della tribolazione saranno fatti brevi. Non per tutti dunque, ma soltanto per coloro che sono di Cristo. Per quelli che non credono ogni tribolazione appare senza fine. Quanto più l’ultima e la più grande!
21 E allora se qualcuno vi dice: Guarda qui è il Cristo, guarda è là, non credete.
Il tempo dell’attesa finale, benché fatto breve, non sarà senza inganno. Il Satana moltiplicherà le sue macchinazioni ed allora più che mai si rivestirà di  luce. Non di un qualsiasi angelo, ma di quello che ha nome di Gesù Salvatore. E porrà il nome dell’Altissimo sulla bocca degli uomini perché s’ingannino l’un l’altro.
Attenti dunque a non rincorrere un Cristo a portata di mano ed alla vista di ognuno, creazione dell’uomo traviato dal Satana. Il moltiplicarsi di visioni e di visionari non è certo di buon auspicio. Peggio ancora quando molti ci vanno dietro e fanno propaganda.
22 Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e daranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti.
Non ci sono soltanto coloro che vedono il Cristo là dove non è, ci sono anche gli uomini che si fanno passare per Salvatori come Gesù o per profeti che parlano in Suo nome. E faranno segni e prodigi, per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti. Intendi rettamente: non è da reputare un assurdo l’inganno di chi è eletto; al contrario è una reale possibilità che va considerata seriamente. Fino alla venuta ultima del Figlio di Dio, Satana ha un potere su ogni uomo, anche su chi è nel novero dei redenti. Non c’è elezione che non debba essere custodita fino alla fine e salvata dalle insidie del Maligno. Se possibile, quando gli sarà permesso, il Diavolo ingannerà anche gli eletti.
23 Voi però guardatevene bene: ho predetto a voi tutte le cose.
Stato di massima allerta dunque per ognuno che crede: Gesù ci ha predetto chiaramente ogni cosa.
24 Ma in quei giorni dopo quella tribolazione il sole si oscurerà, e la luna non darà il suo splendore, 25 e gli astri saranno cadenti dal cielo, e le potenze nei cieli saranno scosse.
Prima dell’instaurazione di cieli nuovi e terra nuova ci sarà il disfacimento del mondo attuale ad opera non del Maligno, ma di Colui che ne è Signore e presiede ad ogni sua operazione.
Innanzitutto verrà meno la luce del sole che alimenta ogni vita creata, poi anche la luna perderà il suo splendore e gli astri fissi nella volta celeste cadranno e saranno sconvolte quelle potenze o forze che garantiscono la loro stabilità.
26 E allora vedranno il figlio dell’uomo veniente in nubi con molta potenza e gloria.
Dopo il crollo di questo mondo, ecco  ogni carne vedrà il figlio di Dio, fattosi figlio dell’uomo che viene nelle nubi con molta potenza e gloria. Dopo  l’ignominia della croce, ecco il volto vincitore di Cristo. Non sarà ancora la visione eterna, riservata agli eletti, ma la manifestazione terrena di una gloria e di una potenza che scendono dal cielo.
Vedranno soltanto coloro che saranno in quel tempo sulla terra? Ci sembra che la parola “vedranno”, senza soggetto, lasci intendere la totalità degli uomini, che spettatori diretti od indiretti della morte del Cristo, prima del giorno del giudizio finale  vedranno il volto vittorioso e trionfante di Gesù e conosceranno la sua potenza sul mondo intero ed una gloria senza limiti o confini.  Anche i dannati vedranno quale gloria, non con gli occhi dello Spirito, ma con gli occhi di quella carne nella cui luce hanno confidato. Dopo di questo ogni loro storia sarà finita e non avrà più importanza alcuna per Dio. Il futuro è soltanto per gli eletti.
27 E allora invierà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
28 Dal fico imparate la parabola. Quando già il suo ramo diventa tenero e germina la foglie, conoscete che l’estate è vicina; 29 così anche voi, quando vedrete queste cose accadenti, conoscete che è vicino sulle porte. 30 Amen dico a voi che non passerà affatto questa generazione prima che queste cose tutte avvengano.
Qual è questa generazione che non passerà affatto prima che avvengano tutte queste cose? Non una generazione in particolare tra le altre, ma quell’unica che è nata dal peccato di Adamo. La generazione di oggi ( questa ) è uguale alla generazione di ieri e a quella di domani. In altre parole, la fine del mondo vedrà ancora la terra abitata dai figli di Adamo. Una generazione diversa sarà fatta per un mondo diverso.  Per tutto il tempo dell’esistenza umana si deve parlare di un’unica malvagia generazione.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Per confermare la veridicità di quanto detto Gesù aggiunge che la propria parola non conosce possibilità di cambiamento. Quel che è detto oggi vale per sempre. Quello che è profetizzato in un tempo si avvererà a suo tempo di necessità assoluta. La sorte finale dell’uomo è già  realtà presso Dio. Nessuno pensi che qualcosa possa cambiare il disegno eterno di Dio: più semplicemente sarà portato a termine a  tempo opportuno. Quale tempo? Non importa sapere il quando, ci basti sapere il come.
32 Circa poi quel giorno o l’ora nessuno sa, né gli angeli in cielo né il Figlio, se non il Padre.
Com’è possibile che neppure il Figlio conosca quel giorno? Si tratta evidentemente di un paradosso per significare che il Figlio ogni cosa ha rimesso nelle mani del Padre e niente vuol sapere se non quello che vuole il Padre.
33 Guardate, vegliate; non conoscete infatti quando è il tempo.
Come dobbiamo dunque aspettare l’ultima ora? Stando sempre in guardia dal Maligno e non lasciandoci prendere dal sonno.
34 Come un uomo partito per un viaggio, avendo lasciato la sua casa e dato ai suoi servi la potestà a ciascuno la sua opera ed al portinaio comandò di vigilare.
Chi è mai quest’uomo se non il Padre stesso? Dopo aver messo la propria dimora nel cuore dell’uomo, da esso ne è stato cacciato. Per questo ha dato ad ogni servo suo potestà sulla propria vita ed  un’opera da compiere. La libertà donata da Dio all’uomo è frutto del rifiuto da parte di Adamo di una libera sottomissione al suo Creatore. Quando il padrone è lasciato fuori il servo diventa responsabile del proprio operato e verrà il giorno del rendiconto finale.
Una porta aperta all’opera del Maligno, non per questo si può dire incustodita. Il Padre non ci ha abbandonati a noi stessi, ma ha posto accanto a noi il Figlio suo perché custodisca i nostri passi, sia luce nelle tenebre, sentinella di fronte al nemico. Se noi vigiliamo, Cristo è vigile in noi. Vi è sulla terra una presenza preziosa che è quella del Figlio, senza il quale nessuna garanzia di perseveranza nella fede possiamo dare al Padre.
35 Vegliate dunque; non sapete infatti quando il padrone della casa verrà, o alla sera o a metà notte o al canto del gallo o al mattino, 36 affinchè giungendo all’improvviso non vi trovi dormienti.
Vegliamo dunque, in Cristo e per Cristo! Perché non sappiamo quando verrà il padrone della casa: non il giorno e neppure l’ora. Se non è noto il giorno della venuta è tuttavia certa la sua necessità.
Perché la vita è frutto di un furto e di uno scippo fatto al suo legittimo proprietario: prima o poi il padrone verrà a riprendersi ciò che gli appartiene e vorrà mettere in chiaro ogni cosa e ristabilire il proprio regno e trovare la giusta sistemazione e retribuzione per ogni creatura.
37 Ciò che poi dico a voi lo dico a tutti: vegliate!
Ciò che è detto agli apostoli è detto a tutti gli uomini: Vivete nell’attesa della restaurazione finale di tutte le cose: una vita non stabile prima o poi verrà ristabilita.
E non pensate che il problema possa interessare soltanto una generazione, ma è proprio di ogni generazione.
Vi preoccupate della venuta finale del Figlio dell’uomo? E non pensate che il giudizio di Dio è sempre alle porte? Chi può sfuggire alla propria morte e chi conosce quale momento?
Per il Figlio di Dio la sua venuta ultima può anche essere collocata in un futuro non conosciuto e non conoscibile, ma per quel che ci riguarda il  giorno ultimo è sempre vicino.
Questo in definitiva giova sapere: la vita è breve ed improvvisa viene la sua rovina . State attaccati al Cristo e non ci sarà per voi alcun male, ma ogni bene.
Il  Signore, dal monte degli ulivi ci ha detto tutto, ci ha indicato la strada e ci ha insegnato a fare discernimento. Non cerchiamo altrove quello che già abbiamo in pienezza, in questa Parola di verità e bellezza.

+Padre Mario Metodio.

martedì 21 aprile 2015

LA DIMENSIONE ANGELICA NELLA PRASSI PASTORALE



Il recupero della spiritualità, come orizzonte invisibile delle realtà create.

Carissimi,
il mio intervento, che mi accingo ad esporre, più che una trattazione accademica vuole molto semplicemente ,proporsi come, rivisitazione della realtà angelica nella vita di Gesù.
Seguirò questo percorso attraverso due momenti.
1-    I vangeli ,cosa dicono
2-    La liturgia, come colloca gli angeli
1.I vangeli.
Matteo 13,39.41.49: «i mietitori sono gli angeli»
Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania
sono  i  figli  del  Maligno
e  il  nemico  che  l’ha  seminata  è  il  diavolo.  La
mietitura è la fine del mondo e  i mietitori sono gli angeli.
41
Il  Figlio  dell’uomo  manderà  i  suoi  angeli,  i  quali  raccoglieranno  dal  suo
regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità
splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!
Il  linguaggio  è  apocalittico  e  così  anche  la  spiegazione  di  questa  parabola; 
il  riferimento  però  è  alla  fine  del  mondo,  al
Figlio dell'uomo che manda gli angeli che separano. Proprio il versetto finale, che parla dei
giusti  che  splendono  come  il  sole  nel  regno,  è  una  ripresa  di  Daniele,  tipico  linguaggio apocalittico.
Ancora una volta gli angeli sono evocati come ministri escatologici del giudizio finale,
pertanto non ci stupiamo di trovare ancora il riferimento agli angeli nel capitolo 25 dove
l’evangelista  Matteo  ha  posto  alla  fine  del  discorso  escatologico  la  scena  del  giudizio
universale.
Matteo 25,31.41: «il diavolo e i suoi angeli»
25,
31
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli  con
lui, siederà sul trono della sua gloria.
32
Davanti a lui verranno radunati tutti i
popoli.
Ancora una volta, quindi, troviamo il riferimento alla venuta finale, gloriosa, del Figlio
dell'uomo con l’accompagnamento degli angeli. Nel corso di questa immagine c’è ancora
un riferimento agli angeli, ma questa volta negativo. Al v. 41 infatti troviamo la condanna:
25,
41
―Via,  lontano  da  me,  maledetti,  nel  fuoco  eterno,  preparato  per  il
diavolo e per i suoi angeli …
Ecco  evidente  il  collegamento  degli  angeli  anche  con  il  mondo  negativo  diabolico.
Quindi la parola ―angelo‖ di per sé è neutra, dipende dal riferimento: angelo di chi? Angelo
lc 15,10.Qui leggiamo che cè una gioia
Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore
che si converte».
Questo  lòghion  di  Gesù  che  commenta  la  parabola  ci  aggiunge  quindi  un  piccolo
particolare che non avevamo ancora trovato. Gli angeli partecipano delle situazioni umane
e  reagiscono  con  sentimenti:  sono  contenti,  gioiscono.  Quando  un  uomo  peccatore  si
converte  gli  angeli,  alla  presenza  di  Dio,  sono  contenti.  Gli  angeli  di  Dio  sono  contenti
perché una persona umana si è ravveduta e ritorna al Signore.
come collaboratori. Si parla di loro in un contesto dove l’argomento principale è un altro.

Matteo 4,5: «Ai suoi angeli darà ordini»
Ritorniamo  al  vangelo  secondo  Matteo.  All’inizio  del  capitolo  4  viene  presentato
l’episodio delle tentazioni. Abbiamo già detto che, come Marco, anche Matteo parla degli
angeli  che  servono  Gesù.  In  questo  testo  abbiamo  però  in  più  una  citazione  dell’Antico
Testamento  messa  in  bocca  addirittura  al  diavolo;  abbiamo  un  parallelo  praticamente
identico  in  Luca  4,10.  Matteo  e  Luca  hanno  entrambi  il  racconto  didascalico  delle
tentazioni  in  cui  viene  presentato  il  satàn,  l’ostacolatore  del  piano  di  Dio  che  tenta  di
bloccare il metodo messianico adoperato da Gesù e gli propone delle alternative.
Mt 4,
5
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto
del tempio
6
e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra». la figura
dell’angelo  come  mediazione  pedagogica,  educativa,  altrimenti  si  aggiunge  il  particolare
magico.
Marco 13 nel discorso apocalittico: ―Il Figlio dell'uomo verrà  con i suoi angeli”  e la data
Matteo 26,53: «più di dodici legioni di angeli»
Invece, un elemento originale e interessante, lo troviamo al capitolo 26, altro  lòghion  di
Gesù  nel  contesto  dell’arresto  nel  Getsemani.  Quando  uno  di  quelli  che  erano  con  Gesù
impugna  la  spada,  la  estrae  e  colpisce  il  servo  del  sommo  sacerdote  staccandogli
l’orecchio, Gesù lo rimprovera:
Mt 26,
52
Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti
quelli che prendono la spada, di spada moriranno.
53
O credi che io non possa
pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione  più di dodici
legioni di angeli?
Gesù potrebbe avere a disposizione dodici legioni di angeli, non dodici uomini. Notate
l’immagine  esagerata:  ai  dodici  apostoli  vengono  contrapposte  dodici  legioni  di  angeli,
cioè dodici eserciti
 Quindi il lòghion delle dodici
legioni di angeli è molto importante per completare il quadro della visione di Gesù sulla
figura angelica. L’evangelista Luca ci aiuta a comprendere questo quadro.
Luca 22,43: «apparve un angelo dal cielo per confortarlo»
Se passiamo al vangelo secondo Luca, nello stesso contesto del Getsemani troviamo la
presenza di un angelo, ma in questo caso è il narratore che lo inserisce.
Come  abbiamo  potuto  osservare,  durante  la  vita  terrena  di  Gesù  i  narratori  evangelici
non hanno presentato figure di angeli; tutti i versetti che abbiamo considerato sono sempre
parte  di  detti,  logia,  in  cui  si  parla  di  loro.  L’unica  presenza  è  questa,  testimoniata
dall’evangelista  Luca.  Durante  la  preghiera  angosciata  di  Gesù  nel  Getsemani  il  terzo
evangelista dice:
Lc 22,
43
Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo.
44
Entrato nella
lotta,
In greco si dice ―agonia‖,
pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che
cadono a terra.
L’evangelista non dice che Gesù sudò sangue, ma le gocce di sudore sembravano gocce
di sangue. A noi interessa quella piccola nota, tipicamente lucana; sembra un’aggiunta in
proprio  del  terzo  evangelista  che  ha  voluto  sottolineare  come  Gesù  non  fosse  solo  e
abbandonato. Gli apparve un angelo dal cielo  –  il cielo non è semplicemente luogo fisico,
ma è un modo per evocare Dio –  con il compito di confortarlo. Gesù in quel momento non
è solo, c’è una presenza di Dio mediata dall’angelo che lo conforta, gli dà coraggio. È una
figura amica,  è un consolatore spirituale, presente, che dà forza nel momento della lotta, fa
sentire la presenza di Dio dalla sua parte.
Mt 1,
20
Mentre Giuseppe stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in
sogno un angelo del Signore e gli disse:
L’angelo del Signore è parola, voce che comunica un messaggio.
Mt  1,
24
Quando  si  destò dal  sonno,  Giuseppe  fece  come  gli  aveva  ordinato
l’angelo del Signore
Di nuovo si ripete la formula nel successivo capitolo; appena i magi sono partiti…
Mt 2,
13
un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: 
8
Di  nuovo  l’angelo  è  solo  parola,  addirittura  parola  sognata,  nessuna  descrizione.
Nel vangelo secondo  Luca, nei primi due capitoli, la parola  angelo  è molto frequente
perché  viene  raccontato  prima  l’intervento  di  Gabriele  nel  tempio  di  Gerusalemme  nei
confronti del vecchio Zaccaria e poi l’intervento di Gabriele  a Nazaret alla Vergine Maria.
Se però passiamo in rassegna queste citazioni ci accorgiamo che gli episodi non descrivono
gli angeli. L’elemento importante che dobbiamo notare è che Luca e solo Luca, riporta il
nome dell’angelo. Matteo segue piuttosto lo schema generico ―l’angelo del Signore‖ o, con
articolo indeterminativo, ―un angelo del Signore‖.
Luca invece, intenzionalmente, adopera il nome proprio ―Gabriele‖, perché gli interessa
richiamare  quella  tematica  apocalittica  del  grande  eroe  di  Dio,  rivelatore  dei  misteri
all’uomo eletto. Non dimentichiamo infatti che Gabriele era colui che spiegava a Daniele
la profezia delle settanta settimane.
Dal momento in cui Gabriele appare nel tempio e inizia il racconto di Luca, al momento
in cui Gabriele compare a  Nazaret alla Vergine Maria, passano sei mesi, poi passano nove
mesi per la nascita di Gesù; 6 + 9 = 15 mesi che, per trenta giorni, fanno 450 giorni, ma
dalla nascita alla presentazione del tempio passano altri 40 giorni. Assommandoli ai 450
danno  490  giorni  e  sono…  settanta  settimane!  Dalla  apparizione  di  Gabriele  nel  tempio
all’ingresso di Gesù nel tempio passano settanta settimane. Non è un artificio moderno, ma
un’indicazione  voluta  dall’evangelista  che  offre  notizie  precise.  Quando  dice:  nel  sesto
mese  fu  mandato  Gabriele,  se  invece  del  sesto  fosse  il  quinto  cambierebbe  qualcosa?
Certamente  no,  ma  è  una  indicazione  per  dare  una  distanza  di  sei  mesi  dalla  nascita
dell’uno e dell’altro e, mettendo insieme il tutto, si riconosce quel gioco simbolico delle
settanta settimane di cui Gabriele è interprete. L’ingresso del Signore nel tempio realizza
quindi  quell’annuncio,  ma  richiama  anche  il  tema  del  consacrato  che  verrà  soppresso,
come era detto nel testo profetico di Daniele (cf. Dn 9,21.25).
Ci sono quindi  dei riferimenti molto più ricchi di quel che sembra. Gabriele non viene
descritto, compare alla destra dell’altare dell’incenso e nella trama, sia della apparizione a
Zaccaria, sia della apparizione a Maria, l’angelo è solo voce.
―L’angelo disse… l’angelo disse… l’angelo disse… entrò da lei… uscì da lei‖. L’angelo
è parola, è portatore di un messaggio e questi due racconti sono fatti sul modello antico.
Lc 2,annunciazione.
Un  angelo  del
Signore si presentò a loro
La  formula  è  tipicamente  biblica:  un  angelo  del  Signore  è  mediatore  della  rivelazione
divina. Si presentò a quei pastori che vegliavano, cioè erano svegli…
e la gloria del Signore li avvolse di luce.
Quando nel capitolo 12 degli Atti degli Apostoli Luca racconta la liberazione prodigiosa
di Pietro dal carcere, si annota che la cella si riempie di luce per la presenza dell’angelo del
Signore. C’è un  parallelo importante tra i due episodi, perché la luce nella notte è simbolo
pasquale. Nella notte di Betlemme l’apparizione dell’angelo che avvolge di luce quelli che
vegliano è un richiamo all’evento pasquale e gli angeli a Natale sono prefigurazione degli
angeli al sepolcro vuoto che annunciano cioè la Pasqua di risurrezione.
Essi furono presi da grande timore,
L’apparizione  angelica  determina  una  paura,  perché  è  l’esperienza  del  numinoso.  Il
numen, il prodigio trascendente.
10
ma l’angelo disse loro:
Anche questo è un elemento tipico delle apparizioni: colui che si mostra tranquillizza la
persona, la invita a non avere paura.
«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia,
―Vi  annunzio‖.  L’angelo  fa  una  annunciazione  come  nell’episodio  di  Maria,  una grande gioia
dovremmo infatti riflettere sul contenuto del messaggio portato dall’angelo e
sulle risposte di Maria, ma quell’episodio non ci insegna qualcosa sugli angeli. Questo è
C. Doglio – Gli angeli nella Bibbia
10
più  discorsivo  e  ci  permette  meglio  di  cogliere  la  visione  che  l’evangelista  ha  di  questi
ministri celesti, annunciatori di una grande gioia. L’evangelista, è un ―eu-ánghelos‖, è un
angelo buono che annuncia un vangelo, una buona notizia, una grande gioia. La annuncia a
voi, ma questa è una grande gioia…
che  sarà  di  tutto  il  popolo:
11
oggi,  nella  città  di  Davide,  è  nato  per  voi  un
Salvatore, che è Cristo Signore.
L’angelo spiega già tutta la cristologia, rivela in anticipo chi è quel bambino  utilizzando
i titoli più alti che la tradizione ha attribuito a Gesù: Salvatore, Cristo, Signore.
— Salvatore è il compito di colui che libera, salva, realizza;
— Cristo è l’erede al trono, figlio di Davide, che deve diventare re;
— Signore è titolo divino, Dio in persona.
L’angelo è colui che anticipa quello che molti anni dopo diranno gli apostoli predicando
il Cristo risorto. Questa è una scena di anticipazione, gli esperti di narratologia la chiamano

―prolessi‖,  cioè  si  dice  una  cosa  prima,  prima  che  accada,  perché  il  lettore  sia  aiutato, mentre legge il racconto, a capire qualche cosa che però si capirà dopo.
12
Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in
una mangiatoia».
Il  segno  che  l’angelo  offre  è  un  bambino  in  fasce  in  una  mangiatoia,  cioè  elementi
semplici  e  poveri:  la  quotidianità  umana.  Ai  tre  titoli  di  gloria  divina  sono  aggiunti  tre
elementi banali, comuni. Qual è il segno per riconoscere il Salvatore, il Cristo, il Signore?
Se uno si immagina un segno per riconoscere qualcosa di così grande, immagina di tutto,
meno che un bambino, avvolto in fasce e in una mangiatoia, che di per sé può essere anche
semplicemente una culla.
L’elemento  importante  della  mangiatoia  sta  nel  fatto  che  si  alluda  al  mangiare.  Nella
mangiatoia  il  bambino  viene  messo  perché  ha  una  forma  da  culla,  perché  ci  sta  senza
cadere,  è  una  soluzione  da  poveri,  ma  quello  che  è  importante  è  quello  che  nella
mangiatoia ci si mette: il cibo per gli animali; nella mangiatoia si mette ciò che deve essere
mangiato. Anche questa è una prolessi, incomprensibile, ma viene anticipata perché con il
tempo si possa capire il senso di tutta quella storia che verrà raccontata.
Dopo che l’angelo del Signore ha rivolto il vangelo, ha riassunto il vangelo ai pastori…
13
Subito  apparve  con  l’angelo  una  moltitudine  dell’esercito  celeste,  che
lodava Dio e diceva:
Luca  riprende  il  linguaggio  antico  dell’esercito  celeste,  non  esercito  in  senso  militare,
ma è lo schieramento, il coro, è il grande ordine dei cieli, una moltitudine. Come Daniele
parlava  di  migliaia  di  migliaia,  miriadi  di  miriadi,  così  qui  abbiamo  una  moltitudine
immensa del coro che è sceso giù, intorno all’annunciatore del vangelo e diceva:
14
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama [letteralmente: della eudokía]».
La  parola  eudokia  vuol  dire  benevolenza;  gli  uomini  della  benevolenza  non  sono  gli
uomini di buona volontà, ma sono gli uomini a cui Dio vuole bene e la benevolenza è cosa
diversa  dalla  buona  volontà,  almeno  nel  nostro  linguaggio  attuale.  Gli  uomini  della
benevolenza  sono  oggetto  della  benevolenza  divina,  per  cui  la  traduzione  ha  parafrasato
agli uomini che egli ama.
―In cielo, in terra‖: l’esercito celeste, che canta la gloria di Dio nell’alto dei cieli, scende
ad annunciare la pace agli uomini perché sono oggetto della benevolenza di Dio, portatori
di questo evento di grande salvezza che realizza la pace fra cielo e terra.
. Gli angeli servono
quindi  per  offrire  la  voce  fuori  campo  che  spiega  il  senso  e  i  pastori  sono  l’esempio  di
reazione all’annuncio del vangelo.
I pastori sono i pastori, non viene detto che sono poveri, non viene detto che sono fuori
legge. Spesso si tirano fuori questi discorsi, ma sono aggiunte. I pastori sono pastori. Sono
quelli che nella chiesa saranno chiamati pastori. Che cosa fanno i pastori? Non portano i
regali, vanno a vedere.
«Andiamo  dunque  fino  a  Betlemme,  vediamo  questo  avvenimento  che  il
Signore ci ha fatto conoscere».
Vanno  a  vedere,  si  accorgono  che  tutto  corrisponde  a  quello  che  hanno  sentito,  poi
raccontano ad altri quello che hanno visto e spiegano che le cose stanno proprio come era
stato detto loro.
16
Andarono,  senza  indugio,  e  trovarono  Maria  e  Giuseppe  e  il  bambino,
adagiato  nella  mangiatoia.
17
E  dopo  averlo  visto,  riferirono  ciò  che  del
bambino era stato detto loro.
Gli  angeli  ai  pastori  hanno  portato  il  vangelo,  i  pastori  l’hanno  verificato  e  l’hanno
comunicato ad altri dicendo che le cose stanno proprio come  i primi annunciatori avevano
detto. Questa è la storia della tradizione, è l’annuncio del vangelo, viene proletticamente
presentato il compito apostolico dopo la Pasqua.
Il racconto non è un idillio natalizio, ma un quadro teologico dove gli angeli e i pastori
hanno una funzione di collaborazione: gli angeli e gli uomini hanno Cristo al centro. Gli
angeli  rivelano,  gli  uomini  accolgono  e  a  loro  volta  diventano  messaggeri,  testimoni,
annunciatori di questo evento che è stato loro presentato.
Forse  questo  episodio  è,  nel  complesso  dei  vangeli,  quello  più  significativo  per  la
teologia  degli  angeli,  perché  ci  aiuta  a  comprendere  il  loro  ruolo  di  collaborazione
dell’annuncio di salvezza.
Gli angeli presso il sepolcro vuoto di Gesù
Un ultimo accenno meritano i racconti della visita al sepolcro.
In  Marco  non  abbiamo  trovato  la  parola  ánghelos  perché  egli  non  l’adopera,  ma  dice
neanískos, un giovinetto, vestito di bianco.
Matteo  (28,2.5)  e  Luca  (24,23)  parlano  invece  di  angeli  o,  meglio,  Luca  nel  racconto
della  visita  dice  ―due  uomini‖;  è  Cleopa  che  nel  racconto  che  fa  a  Gesù  –  in  cammino
verso  Emmaus  –  dice  che  le  donne  dicono  di  avere  avuto  una  visione  di  angeli  i  quali
affermano che egli è vivo.
Al momento della visita del sepolcro vuoto, al mattino di Pasqua,  le donne incontrano
qualcuno: due uomini, un giovinetto, ―un angelo del Signore‖  –  dice il solo Matteo
In sintesi: Gli angeli sono mietitori, sono ministri, messaggeri, annunciatori, partecipano alla gioia degli uomini, sono parola, anticipatori del piano di salvezza, primi collaboratori dell’annuncio delle grandi opere di Dio. Ma la cosa più importante che portano il Vangelo.
Ma nello stesso tempo troviamo angeli che si caratterizzano come separatori, accusatori ,ribelli, tentatori, questi si contrappongono al piano salvifico e cercano di destabilizzare, contrapporre il male al bene. Questi angeli che definiamo come demoniaci, hanno un potere enorme sulla vita delle persone, soprattutto quando, ci si lascia tentare da quella materialità di benessere e si comincia a strutturare la nostra vita, solo dentro una circolarità temporale. Gli angeli del Signore sono educatori di umanità ,ci insegnano una pedagogia volta a guardare dentro di noi e in alto verso Dio .Gli angeli del male ci inducono solo alla materia e ci trasportano lontani dalla spiritualità, secondo il cuore di Gesù ,che è il Cristo della fede..
LA LITURGIA
Anche nella liturgia cristiana, il riferimento agli angeli, è ricorrente ed esplicito.
a.     Nei prefazi ,sia della chiesa latina che quella orientale, troviamo che la preghiera si unisce agli angeli e ai santi, per introdurre il sanctus.
Questo elemento non è da considerarsi marginale, proprio perché soggiace, a questo elemento ,una teologia biblica ed una consapevolezza che tra noi che celebriamo la fractio panis del Risorto e la realtà invisibile di Dio cè piena comunione. Anzi senza la comunione degli angeli e dei santi, la nostra liturgia rimane solo azione rituale, sterile e infeconda. La teologia orientale non ama molto la sistematizzazione concettuale del discorso teologico, in essa rimane intatta e  sublime la realtà angelica, come una perenne dossologia. Nella liturgia latina, si è molto affievolita questa connotazione liturgica, se non per la festa degli angeli che si celebra il 2 di ottobre.
Nella preghiera eucaristica 1ma,conosciuta come canone apostolico ,dopo l’epiclesi ,troviamo  queste parole:
 ti supplichiamo Dio onnipotente ,fa che questa offerta ,per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo, davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del corpo e sangue del tuo figlio ,scenda la pienezza di ogni grazie e benedizione del cielo.

Anche nella confessione pubblica che precede la liturgia della Parola, nel confiteor troviamo: Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli
che ho molto peccato
in pensieri,
parole,
opere
e omissioni
per mia colpa,
mia colpa,
mia grandissima colpa
e supplico la beata sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi fratelli
di pregare per me il Signore Dio nostro.


Recuperare una teologia angelica ,nella prassi pastorale non è una questione marginale ,ne voler ridurre a spiritualismo becero, la  storia della Salvezza.
Come abbiamo avuto modo di vedere ,seppur in modo sintetico, sia nei vangeli che nella stessa liturgia, la realtà invisibile è spesso più visibile del nostro vedere e molto più efficace del nostro agire.
Devo anche segnalare che, dal concilio vaticano II, in poi, la sempre più crescente tendenza ad avere più teologi specializzati anche nella formazione al ministero ordinato, ha contribuito ad privilegiare come per le scienze empiriche, una sempre più attenzione all’elemento storico redazionale ,in merito alla storia biblica e dall’altra a una sempre più filologia di critica testuale, in riferimento alla Parola.

Questo non è un male ,ma può divenire un limite.
Limite nel senso che la scrittura può essere studiata e approfondita anche senza avere fede, semplicemente come materiale storico, archeologico, linguistico.
Per il credente non dovrebbe essere così. Il Gesù della storia è divenuto il Cristo della fede. Senza questa relazione profondamente esistenziale ed ontologica, si rischia di divenire maestri ma non testimoni, ministri ma non pastori, sociologi ma non profeti.
Dobbiamo tutti prendere coscienza che, svuotando progressivamente, la terra dal cielo, la vita corporea da quella interiore, il tempo come cronos senza kairos. Ci avvieremo man mano ,e in parte lo siamo già, a non comprendere  nulla del messaggio angelico, in riferimento alla loro presenza, che ancora oggi continua per le strade del mondo, e nel silenzio della storia, creano ponti tra il creatore , il creato e le creature.
Oggi non si parla più ne  di Angeli ne di demoni. Sembra che tutta l’azione pastorale della chiesa debba seguire un iter efficentista ,mentre ci si occupa e preoccupa di tante cose, si lasciano fuori dal proprio orizzonte, l’ascolto , delle pecore ,la preghiera personale ,come intimità con il Maestro. La guida spirituale come confessio laudis  prima confessio fidei .Recuperare tutto questo è fare nostro il messaggio di Gesù, il mio regno non è di questo mondo.
Ma posso annunciare un regno che non è di questo mondo, se di questo mondo io ho tutto voglio tutto e vivo come tutti?
La dove ’è il tuo cuore è anche il tuo tesoro.

+Padre Mario Metodio
   Vescovo ausiliare