mercoledì 30 settembre 2015

Studiare la storia serve.Oggi molti Politici ,Vescovi e Preti balbettano cose che non conoscono,o che non vogliono conoscere,infondo molti preferiscono vivere i loro amori,nascondendosi.....

John Boswell: La chiesa cattolica e l’omosessualità visti da una prospettiva storica

Relazione presentata da John Boswell* alla quarta Biennial Dignity International Convention di San Diego (31 agosto – 3 settembre 1979), liberamente tradotta da Alberto per il Progetto Gionata
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“L’omosessualità”, così scrisse Platone, “è considerata tanto vergognosa dai barbari e da coloro che vivono sotto governi dispotici quanto la filosofia è considerata altrettanto vergognosa dalle stesse persone, perché non è, a quanto pare, interesse di quei governanti che grandi idee vengano inculcate nei loro sudditi, oppure amicizie solide o amore appassionato – tutte cose che l’omosessualità è in grado di generare”.
Questo atteggiamento di Platone era caratteristico del mondo antico e voglio iniziare la mia prolusione sull’atteggiamento della Chiesa verso l’omosessualità, nel mondo cristiano d’Occidente, attraverso l’interpretazione di atteggiamenti simili presenti nel mondo antico.
In larga misura, gli atteggiamenti occidentali nei confronti della legge, della religione, della letteratura e del governo derivano dagli atteggiamenti degli antichi romani.
Ciò rende ancor più sorprendente la considerazione che i nostri atteggiamenti verso l’omosessualità, ed in particolare la tolleranza sessuale in generale, sono grandemente diversi da quelli del mondo latino antico.
È molto difficile far capire al pubblico di oggi l’indifferenza dei romani verso questioni di genere e di orientamento sessuale. La difficoltà è dovuta sia al fatto che le prove sono state coscientemente dimenticate dagli storici, fino agli ultimi decenni, sia per la mancata diffusione del materiale letterario relativo.
I romani non consideravano la sessualità e le preferenze sessuali una questione di grande interesse, né essi trattavano la stessa sessualità in modo analitico. Uno storico può raccogliere solo una serie enorme di piccole curiosità e notizie minute per dimostrare la generale accettazione dell’omosessualità da parte dei romani.
Uno dei pochi scrittori imperiali che sembra fare una specie di commento maggiormente articolato, anche se generale, sull’argomento ha scritto: “Giove si presentò sotto forma di aquila al bellissimo Ganimede e sotto forma di cigno alla ninfa Leda, madre di Elena. Una persona preferisce un genere un’altra l’altro, a me piacciono entrambi”.
Plutarco scriveva quasi nello stesso periodo, “Nessuna persona assennata può immaginare che i sessi differiscono in questioni d’amore quanto differiscono nel modo di vestire. Chi ama intelligentemente la bellezza sarà attratto dalla bellezza in qualunque genere la trovi”.
Il diritto romano e le sue norme severe non prevedevano assolutamente alcuna restrizione sulla base del genere. Alle volte si è sostenuto che c’erano leggi contro le relazioni omosessuali a Roma, ma è facile dimostrare che non è vero. D’altra parte, è un errore immaginare che l’edonismo anarchico imperasse a Roma.
Infatti, i romani avevano una complessa struttura di norme limitative, finalizzate alla protezione dei bambini e contro il loro abuso e alla protezione di ogni cittadino dalla violenza e dalla costrizione nei rapporti sessuali.
I romani erano, come del resto altri popoli, molto sensibili a questioni di amore e ai legami affettivi, ma la scelta sessuale individuale, cioè il genere, era completamente libera. La prostituzione maschile (rivolta ad altri maschi), per esempio, era talmente comune che le tasse su quella attività costituivano una delle maggiori voci d’entrata per il tesoro imperiale.
Era talmente redditizia che anche in periodi più tardi, quando una certa intolleranza cominciò lentamente a farsi strada, gli imperatori non riuscirono a decidere di mettere fine a quella pratica e a rinunciare ai relativi introiti.
Anche i matrimoni gay erano legali e frequenti a Roma sia fra maschi che fra femmine. Perfino gli imperatori spesso sposavano altri maschi. Vi era una totale accettazione di questo tipo di atteggiamento e comportamento sessuale da parte della popolazione comune, per quanto si può determinare. E la totale accettazione non era limitata all’elite dei governanti.
Esiste infatti molta letteratura romana popolare che contiene storie di amori gay. Il punto a cui voglio arrivare è che non vi era assolutamente nessuna sollecitazione consapevole da parte di nessuno del mondo romano, il mondo all’interno del quale il cristianesimo è nato, che sosteneva che l’omosessualità fosse anormale o non desiderabile.
Non vi è nessuna parola latina che indichi il termine moderno di omosessualità. Sembra una parola latina, ma fu coniata da uno psicologo tedesco verso la fine del diciannovesimo secolo.
Nessuno del mondo romano sembrava ritenere che il fatto che qualcuno preferisse persone del proprio genere fosse maggiormente significativo del fatto che qualcuno preferisse gli occhi blu o la gente di statura bassa.
Nessuna persona gay e nessuna persona eterosessuale sembrava associare certe caratteristiche fisiche o comportamentali alla preferenza sessuale.
Gli uomini gay non erano considerati meno maschi degli uomini eterosessuali e le donne lesbiche non erano considerate meno femminili delle donne eterosessuali.
I gay non erano considerati né migliori né peggiori delle persone eterosessuali, un atteggiamento questo che si differenziava sia dalle civiltà che precedettero quella romana, infatti molti greci pensavano che i gay fossero intrinsecamente migliori degli eterosessuali, sia dalle civiltà che la seguirono, nelle quali i gay furono spesso considerati inferiori agli altri.
Se questo è una rappresentazione precisa della realtà storica del mondo antico, la struttura sociale dalla quale la cultura occidentale è derivata, allora da dove è venuta l’idea negativa sull’omosessualità, ora comunemente accettata?
L’ovvia risposta a questa domanda e quella che è stata quasi sempre nel passato, il cristianesimo è il responsabile del cambiamento.
C’è una coincidenza storica che sembra rendere maggiormente credibile questa ipotesi – che cioè quando il cristianesimo appare sulla scena, la tolleranza esistente in precedenza scompare e l’accettazione generale dell’omosessualità diventa molto meno comune.
Dovrebbe essere ovvio, tuttavia, che il cristianesimo non sarà, con ogni probabilità, il solo responsabile di questo cambiamento. Qualcuno fa notare, ad esempio, che i paesi dove al giorno d’oggi i gay soffrono la maggiore oppressione violenta sono i paesi dove il cristianesimo viene accolto di meno.
Ma prima di tutto, vorrei disfarmi brevemente dell’idea che la Bibbia avesse qualcosa a che fare con gli atteggiamenti negativi dei cristiani verso i gay. Da un punto di vista storico è facile a farsi, ma mi accorgo che alle persone che vivono maggiormente di Bibbia è necessario dire di più di quello che uno storico può far loro osservare.
Uno storico può semplicemente far notare che nessuno degli scritti del primo e dell’alto medioevo sembra avvalorare l’ipotesi che la Bibbia sia all’origine dei pregiudizi contro i gay.
Se non si trova nella Bibbia alcuna motivazione per dimostrare la nuova ostilità, allora si devono citare fonti diverse dalla Bibbia stessa. In realtà da una prospettiva storica, la Bibbia sarebbe l’ultima fonte a cui uno dovrebbe guardare dopo aver considerato la crescente ostilità verso i gay, ma molte persone hanno l’impressione che la Bibbia c’entri comunque e che i suoi insegnamenti sulla questione debbano essere affrontati nel dettaglio.
La maggior parte degli studiosi della Bibbia ora riconoscono che il racconto di Sodoma non fu probabilmente inteso come una specie di giudizio sull’omosessualità. Certamente non fu interpretato come proibizione dell’omosessualità dalla maggior parte degli scrittori cristiani.
Nel mondo moderno, l’idea che il racconto si riferisca al peccato dell’inospitalità piuttosto che a quello del peccato di omosessualità fu per la prima volta diffusa nel 1955 in “Omosessualità e Tradizione Cristiana d’Occidente” di D.S. Bailey e da allora ha guadagnato sempre più ampi consensi tra gli studiosi.
Ma i moderni studiosi sono un po’ in ritardo: già quasi tutti gli studiosi medievali avevano avuto la percezione che il racconto di Sodoma riguardasse l’ospitalità. Questa è, perciò, non solo la più ovvia interpretazione del racconto ma anche quella data ad esso dalla maggior parte dei passi biblici.
È sorprendente, per esempio, che sebbene Sodoma e Gomorra vengano menzionate in circa due dozzine di diversi passi nella Bibbia (oltre che in Gensi 19, dove la storia è raccontata la prima volta), in nessuno di questi passi l’omosessualità viene associata ai sodomiti.
Gli unici altri passi dell’Antico Testamento che potrebbero essere portati a prova contro l’omosessualità sono Deuteronomio 23,17 e il Libro dei Re 14,24, e senza dubbio i passi più noti di tutti: Levitico 18,20 e 20,13, dove l’atto dell’uomo che giace con un uomo come si giace con una donna viene etichettato dagli Ebrei come rito impuro.
Tuttavia nessuno di questi passi viene citato dai primi cristiani per supportare l’avversione al comportamento omosessuale. I primi cristiani non avevano alcun desiderio di imporre la legge del Levitico a se stessi o a qualsiasi altra persona.
La maggior parte degli ebrei cristiani erano infatti sconvolti dalla maggior parte delle restrizioni che la legge giudaica imponeva ed non erano affatto disposti a sottomettersi a ciò che consideravano la schiavitù dell’antica legge.
San Paolo afferma ripetutamente che non dobbiamo ricadere nella schiavitù dell’antica legge e infatti si spinge fino al punto di sostenere che se i cristiani si fanno circoncidere (rito che sta a fondamento della legge antica), Cristo non serve a niente. I primi cristiani non erano costretti a sottostare alle restrizioni della legge antica.
Il Concilio di Gerusalemme, svoltosi attorno all’anno 50 D.C. e riportato negli Atti degli Apostoli al capitolo 15, infatti, si occupò specificatamente di questo problema e fu deliberato che i cristiani non fossero vincolati da nessuna delle restrizioni della legge antica, e fa un elenco di cose dalle quali astenersi o da osservare, ma nessuna di esse riguardava l’omosessualità.
Nel Nuovo Testamento non troviamo alcuna citazione delle restrizioni dell’Antico Testamento, tuttavia troviamo tre passi, prima lettera ai Corinzi 6,9; prima lettera a Timoteo 1,10; lettera ai Romani 1,26-27, che potrebbero essere pertinenti. Nuovamente, sarò breve nel trattare di questi passi.
La parola greca malakos citata nella prima lettera ai Corinzi 6,9 e nella prima lettera a Timoteo 1,10, che gli studiosi del XX secolo hanno ritenuto riferirsi ad una sorta di comportamento omosessuale, fu universalmente usata dagli scrittori cristiani per riferirsi alla masturbazione fino a circa il XV o XVI secolo.
A cominciare dal XV secolo molte persone erano preoccupate dall’idea che i masturbatori fossero esclusi dal regno dei cieli. Non sembravano essere, perciò, fino a quel momento, troppo preoccupati di escludere gli omosessuali dal regno dei cieli.
Fu così che il termine malakos fu ritradotto affinché si riferisse all’omosessualità e non alla masturbazione. I testi e le parole rimangono gli stessi, ma i traduttori cambiarono semplicemente le loro idee riguardo a ciò chi doveva essere escluso dal regno dei cieli.
I restanti passi, come ad esempio Romani 1,26-27, sembra non avessero sofferto molto a causa di una traduzione mal fatta, sebbene si possa essere facilmente fuorviati dall’espressione “contro natura”. Questa espressione era stata interpretata dalla chiesa dei primi secoli in modo diverso da quello che viene fatto al giorno d’oggi.
San Giovanni Crisostomo afferma che San Paolo non scusa affatto gli uomini di cui sta parlando quando questi osservano che le loro donne “hanno cambiato il loro orientamento naturale”.
Nessuno può sostenere, Paolo lo sottolinea, che la donna è giunta a tanto per il fatto che alla donna stessa viene impedito il legittimo rapporto sessuale o perché la donna sia incapace di soddisfare il proprio desiderio … solo quanti posseggono qualcosa possono cambiare orientamento.
Poi Paolo sostiene che la stessa cosa vale anche per gli uomini, con le dovute differenze, dicendo che essi “hanno abbandonato il naturale uso delle donne”. Con tali parole, Paolo rifiuta di scusare gli uomini, accusandoli non solo “di aver abbandonato il piacere legittimo per perseguire un’altro, ma anche di aver rifiutato il naturale per perseguire l’innaturale”.
Ciò che San Crisostomo vuole dimostrare, e lo fa in modo molto dettagliato, è l’idea che San Paolo non si riferisse ai gay ma agli eterosessuali, probabilmente agli sposati che avevano abbandonato il piacere di cui in virtù della loro natura avevano tutto il diritto per volgersi verso ciò di cui essi non avevano diritto.
Questa conclusione si riflette nei canoni che impongono penitenze per l’attività omosessuale, penitenze che per tutto il XVI secolo erano principalmente rivolte alle persone sposate. Poco viene detto delle persone non sposate.
Forse l’elemento maggiormente significativo del passo di San Paolo citato, è che esso introduce nel pensiero cristiano la nozione che le relazioni omosessuali siano “contro natura”.
Tuttavia, ciò che Paolo sembra voler dire è “cosa insolita”, e non certo contro la legge naturale, come viene spesso interpretato. Il concetto di legge naturale non fu pienamente sviluppato se non circa 1200 anni dopo.
Tutto ciò che Paolo con ogni probabilità voleva dire era che era insolito che le persone potessero avere quella specie di desiderio sessuale. Ciò è reso maggiormente chiaro dal fatto che nella stessa lettera ai Romani, al capitolo 11, Dio stesso viene infatti descritto come colui che agisce “contro natura” riguardo alla salvezza dei gentili. È pertanto inconcepibile che tale espressione connoti l’immoralità.
Ci si potrebbe a ragione chiedere se il silenzio assordante sull’argomento nel Nuovo Testamento non sia indicativo dell’atteggiamento dei primi cristiani nei confronti dell’omosessualità. In quanto storico, io direi di no.
Molta della produzione letteraria del tempo, specialmente quella che aveva come scopo di guidare le persone in una vita giusta e morale, non dice nulla sugli aspetti puramente affettivi della vita umana.
Nel Nuovo Testamento Gesù, San Paolo e gli altri scrittori rispondono in modo generico a domande relative a problemi sociali e morali poste loro da una società essenzialmente eterosessuale.
La gente pose loro domande riguardanti il divorzio, la vedovanza, la proprietà, ecc. e a loro viene risposto in modo corrispondente. La maggior parte dei ragionamenti di Gesù, specialmente quelli riguardanti la sfera sessuale, sono in risposta a specifiche domande che gli vengono poste.
Gesù non sembra voler dare delle linee guida dettagliate su tutti gli aspetti della vita umana, specialmente su ciò che non riguarda la vita stessa, ma piuttosto sembra voler indicare alcuni principi generali.
Non c’è quasi alcun commento in nessun passo della Bibbia riguardo all’amore per i propri figli; ci sono pochi riferimenti all’amicizia; e non c’è un singolo passo riguardo a ciò che noi conosciamo come “l’amore romantico”, sebbene questo sia alla base del moderno matrimonio cristiano nella nostra chiesa come pure nell’intera comunità cristiana.
Vi voglio menzionare alcune delle ragioni che spiegano l’ostilità verso l’omosessualità che ora sembrano una caratteristica della comunità cristiana. Prima di tutto voglio sgombrare il campo da ciò che potrebbe sembrare la motivazione verosimilmente più importante per giustificare l’ostilità nei confronti dell’omosessualità, cioè, la generale opposizione verso la sessualità non procreativa.
Ci fu in verità da parte di molti cristiani dei primi secoli un sentimento di ostilità verso ogni forma di sessualità che non fosse potenzialmente procreativa.
Ciò non può, tuttavia, essere visto come cosa da cui si svilupparono i principi cristiani. Tra le altre cose, non vi è una sola parola nel Vecchio Testamento o nel Nuovo che riguarda la sessualità non procreativa tra le persone sposate e , in verità, la maggior parte dei commentatori ebraici sono d’accordo nell’affermare che ogni cosa era lecita tra marito e moglie.
Un principio consolidato in parecchie discipline delle scienze sociali è quello che sostiene che esiste un pregiudizio collegato alle classi sociali contro gli atti sessuali non procreativi. Ci si potrebbe aspettare che tale pregiudizio si trovi nei cristiani appartenenti alle classi più basse della scala sociale, come del resto avviene per le classi sociali più basse di tutte le società.
Tra i teologi, un esplicito rifiuto della sessualità non procreativa non viene riferito direttamente al comportamento dei gay. I teologi della chiesa dei primi secoli cercavano piuttosto di imprimere in tutti i cristiani l’idea che dovevano considerare ogni loro rapporto eterosessuale potenzialmente procreativo, che cioè il loro atto poteva portare al concepimento di un figlio.
Nessun efficace metodo di controllo delle nascite esisteva a quel tempo nel mondo (eccetto l’astinenza), non esisteva nemmeno il metodo del ritmo. L’unico modo per evitare di avere un bambino era ucciderlo o abbandonarlo.
Perciò i teologi desideravano persuadere i genitori cristiani che dovevano essere responsabili della procreazione ogni volta che essi avevano rapporti sessuali.
Le altre alternative nel loro mondo, il mondo all’interno del quale la prima teologia della chiesa venne formulata, erano moralmente inaccettabili. Ora, l’originale scopo di tale approccio, così appare, fu solo per proteggere i bambini. Non era certo quello di opporsi all’omosessualità.
A dir il vero, ci volle un lunghissimo tempo prima che il concetto di procreazione venisse riferito, per analogia, all’omosessualità, ma finì per essere così.
Fino all’undicesimo, dodicesimo secolo, sembra non vi fosse conflitto tra vita cristiana e l’omosessualità. Esempi di vita gay si trova in ogni luogo nell’XI e nel XII secolo: nell’arte, nella poesia, nella musica, nella storia, ecc. La forma più popolare di letterature di quel tempo, anche di letteratura eterosessuale, riguarda amanti dello stesso sesso di un tipo e dell’altro.
Alcuni chierici erano all’avanguardia di questo revival di cultura gay. San Aelredo di Rievaulx, per esempio, scrive della sua giovinezza come di un tempo in cui non pensava ad altro che ad amare ed essere amato da uomini. Divenne abate cistercense e incorporò il suo amore per gli uomini nella sua vita cristiana incoraggiando i monaci ad amarsi l’un l’altro, non già in senso generico, ma individualmente e con passione.
Citava l’esempio di Gesù e dell’apostolo Giovanni quale guida per questo. “Gesù stesso”, diceva, “in tutto uguale a noi, paziente e compassionevole con gli altri in ogni cosa, trasfigurò questo tipo di amore grazie alla manifestazione del suo stesso amore, poiché permise ad uno solo – non a tutti – di appoggiare la testa sul suo petto, quale segno del suo amore speciale; e più intimi essi erano e più copiosamente i segreti del loro matrimonio celeste arricchirono il loro amore con il dolce odore del loro crisma spirituale”.
Dopo il XII secolo, l’accettazione e la tolleranza per l’amore gay sembra scomparire con sorprendente rapidità. Gli scritti di San Aelred scompaiono perché vengono tenuti sotto chiave nei monasteri cistercensi fino a circa otto anni fa, quando per la prima volta i cistercensi poterono leggerli nuovamente.
Ad iniziare dall’anno 1150 circa, per ragioni che non so spiegare adeguatamente, ci fu un’improvvisa fiammata di intolleranza nei confronti dei gay. A quel tempo ci furono anche violente esplosioni di intolleranza verso gli ebrei, i mussulmani, le streghe.
Le donne furono improvvisamente escluse dalle strutture di governo alle quali avevano avuto accesso fino a quel momento, non fu loro più permesso di frequentare, ad esempio, le università nelle quali avevano potuto in precedenza iscriversi, monasteri misti, uomini-donne, furono chiusi. Si cominciò a sospettare di tutti. Nel 1180 gli ebrei furono espulsi dalla Francia.
Il cambiamento fu rapido. Nell’Inghilterra del XII secolo non c’erano leggi contro gli ebrei ed essi occupavano posizioni di prestigio nel paese, ma verso la fine del XIII secolo, dormire con un ebreo fu equiparato a dormire con un animale o un assassino e in Francia, gli ebrei, secondo San Luigi, dovevano essere uccisi sul posto se dubitavano della fede cristiana.
Durante questo periodo ci sono anche molte prese di posizione popolari contro i gay, sostenendo che essi molestano i bambini, violano la legge naturale, sono delle bestie e causano danno alle nazioni che li tollerano.
In un solo secolo, tra il 1250 e il 1350, quasi tutti gli stati europei si dotano di una legislazione civile che prevede la pena di morte anche per un singolo atto omosessuale. Questa reazione popolare ebbe degli effetti grandissimi sulla teologia cristiana.
Per tutto il XII secolo, le relazioni omosessuali erano state, nei casi peggiori, paragonate alla fornicazione eterosessuale delle coppie sposate e, nei casi migliori, non erano considerate affatto peccaminose. Ma durante il XIII secolo, a causa di questa reazione popolare, scrittori come Tommaso d’Aquino, tentarono di dipingere l’omosessualità come uno dei peggiori peccati, secondo solo all’omicidio.
È molto difficile descrivere come ciò sia successo. San Tommaso tentò di dimostrare che l’omosessualità era in qualche modo contraria alla natura, l’obiezione più familiare era che la natura aveva creato la sessualità per la riproduzione e usarla per altri scopi sarebbe stato violare la natura stessa.
Il d’Aquino fu fin troppo intelligente su questo argomento. Nella Summa Contra Gentiles si chiede: “E’ peccaminoso camminare sulle mani quando la natura le ha intese per qualcosa d’altro?” No, non è affatto peccaminoso, e così cambiò opinione. Ovviamente l’essere contro natura non può costituire la ragione per cui l’omosessualità è considerata peccaminosa; così andò in cerca di un’altra motivazione.
Dapprima tentò di sostenere che l’omosessualità doveva essere peccaminosa perché impediva la riproduzione della razza umana, ma anche questo argomento fu scartato in quanto, come il d’Aquino osservò nella Summa Theologica, “un dovere può essere di due tipi: l’uno può essere imposto all’individuo come obbligo che non può essere ignorato senza commettere peccato, l’altro può essere imposto ad un gruppo.
Nel secondo caso nessun individuo è obbligato ad adempiere quel dovere. Il comandamento che riguarda la procreazione si applica alla razza umana nel suo insieme ed essa è obbligata, nel suo insieme, ad aumentare fisicamente di numero. Perciò è sufficiente per la razza che alcune persone si impegnano a riprodursi fisicamente”.
Inoltre, il d’Aquino ammette nella Summa Theologica che l’omosessualità era assolutamente connaturata a diversi individui e perciò incolpevoli.
Per quale ragione, allora, si sosteneva che era innaturale? In un terzo caso egli ammette che il termine “naturale” nei fatti non ha alcun significato morale, ma è semplicemente un termine che si applica alle cose che sono fortemente disapprovate. “L’omosessualità”, dice, “è definito il vizio innaturale dalla gente comune ed è per questa ragione che può essere definita innaturale”.
Quella non fu un’invenzione del d’Aquino. Fu un adeguarsi ai pregiudizi popolari del tempo. Non prendeva la propria autorevolezza dalla Bibbia e da altre preziose tradizioni della morale cristiana, ma alla fine divenne comunque parte del pensiero teologico cattolico.
Questi atteggiamenti sono rimasti praticamente immutati nei secoli successivi perché non vi è mai stata una spinta popolare al cambiamento. Il pubblico ha continuato a sentire ostilità verso i gay e la chiesa non ha perciò subito alcuna pressione per riesaminare le origini dei suoi insegnamenti sull’omosessualità.
È perciò sempre possibile che la chiesa cambi i propri atteggiamenti nei confronti dei gay e della loro sessualità, poiché le obiezioni all’omosessualità non sono bibliche, non sono coerenti, non sono parte dell’insegnamento di Gesù, e non sono fondamentalmente neppure cristiane.
È possibile perché il cristianesimo fu indifferente, se non tollerante, verso i gay e i loro sentimenti per un periodo di tempo più lungo di quello durante il quale ci fu ostilità verso i gay.
È possibile perché per i padri fondatori della religione consideravano specificatamente l’amore come trascendente le contingenze biologiche e come il fine e non il mezzo. Può non essere possibile sradicare l’intolleranza da una società secolarizzata, poiché l’intolleranza è, per alcuni versi, non sradicabile; ma credo che l’atteggiamento della chiesa possa e debba cambiare.
È stato diverso nel passato e lo può essere ancora. Platone, riguardo alla società di circa 2400 anni fa, osservava che “dovunque viene stabilito che è cosa vergognosa essere coinvolti in relazioni omosessuali, ciò è dovuto alla malizia del legislatore, al dispotismo dei governanti e alla codardia da parte dei governati”.
Non credo che possiamo permetterci di essere definiti codardi. Abbiamo precedenti ecclesiastici in abbondanza per incoraggiare la chiesa ad adottare un atteggiamento più positivo. Dobbiamo usarli. Come un arcivescovo gay ha scritto nel XII secolo, “non siamo stati noi ad insegnare a Dio come amare, ma è stato Lui ad insegnarlo a noi. Ha reso la nostra natura piena di amore”.
Un suo contemporaneo scrisse, “Amare non è mai un crimine. Se fosse sbagliato amare, Dio non avrebbe costretto anche il divino ad amare”. Queste affermazioni sono nate all’interno della comunità cristiana, frutto della fede cristiana. La nostra comunità cristiana può e deve poter ricordare il suo credo originale, la sua precedente capacità di accoglienza.
Nostro compito è fare in modo che ce se ne ricordi.
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* John Eastburn Boswell (Boston, 20 marzo 1947 – 24 dicembre 1994) è stato uno storico cattolico statunitense, professore presso l’Università di Yale, autore del rivoluzionario Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo (“Christianity, Social Tolerance and Homosexuality”1980) in cui volle analizzare e dimostrare l’atteggiamento di sostanziale tolleranza della Chiesa cattolica delle origini verso le persone omosessuali.
Mentre nel suo The Marriage of Likeness: Same-Sex Union in Premodern Europe (“Unioni dello stesso sesso nell’Europa pre-moderna”, Villard, New York 1994) dimostrava come l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’omosessualità abbia conosciuto un’evoluzione attraverso i tempi, e che i primi cristiani accettassero, talvolta, le relazioni tra persone dello stesso sesso.
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venerdì 18 settembre 2015

lettera aperta al presidente dei vescovi calabresi

+ CRISTIANA ANTICA + CATTOLICA E + APOSTOLICA
DIOCESI DÌ MONZA PER L’ITALIA
                                                                                    DÌ TRADIZIONE ORIENTALE          
+ MARIO METODIO
VESCOVO AUSILIARE




Lettera aperta al presidente della CEC
Mons Vincenzo Bertolone,
Arcivescovo  Diocesi di Catanzaro, Cattolica Romana .

Eccellenza,

le giunga un cordiale saluto ,e la pace del Signore che conosce i segreti dei cuori, avvolga di luce il suo ministero pastorale.
Le scrivo la seguente lettera  ,in merito all’ultimo documento, circa  le indicazioni pastorali riguardanti gli atteggiamenti e gli impegni formativi ,per contrastare il fenomeno mafioso in terra calabra.
Pur apprezzando le dichiarazioni che ho avuto modo di leggere nel documento, mi permetto di segnalare a titolo di interrogativi quanto segue.
Nella presentazione fatta dal suo predecessore alla presidenza, Mons Nunnari, si sottolinea che troppo spesso si accusa la chiesa di atteggiamenti che potrebbero configurarsi come conniventi a un certo sistema mafioso…In un’altra dichiarazione, a seguito delle precisazioni del procuratore Gratteri ,lo stesso presule si premuniva di segnalare, ritardi da parte della chiesa, ma non di connivenze.
Io come calabrese e come vescovo di una piccola chiesa, chiedo a lei ,per comprovata esperienza pastorale se ad esempio quei sacerdoti che direttamente o indirettamente veicolano i fedeli, durante le elezioni politiche a votare dei nomi, sono motivati dal vangelo….
Se quei sacerdoti che lasciano beni immobili e ingenti somme di denaro ai familiari, sono motivati dal Vangelo…
Se quei sacerdoti, che hanno approfittato del loro status, per raccomandare ai potenti della terra, i loro parenti per assunzioni lavorative, sono motivati  dal Vangelo…
Se quei sacerdoti che amano la frequentazione solo di certi salotti ,per ottenere finanziamenti dalle strutture regionali ,per le opere definite di carità  e che spesso vengono sottratte ad altre esigenze sociali di particolare interesse pubblico, tipo restauro di cattedrali, sono motivati dal Vangelo…
Se quei sacerdoti che si affiancano a persone di indubbia moralità, e che diventano i proprietari delle parrocchie, ne stabiliscono le scelte ,attraverso continui pellegrinaggi che hanno lo scopo di un tornaconto personale,
se sono motivati dal vangelo….
Se quei vescovi che chiamati a pagare per strutture diocesane le tasse previste dalla legge, e che non riguardano i luoghi di culto ,e mettono in atto una serie di azioni  non propriamente etiche ,per evitare di ottemperare al dovuto, sono mossi dal Vangelo…..
Se quei vescovi che si lasciano guidare nelle azioni pastorali ,dalla logica del gruppo ecclesiale, che si configura sempre più come settario, economicamente potente, capace di intervenire a più livelli, pur di soffocare la voce della verità, impedendo ai fuoriusciti di parlare della loro esperienza, se sono motivati dal vangelo…..
Se quei vescovi che difronte a delle denunce per  reati gravi, preferiscono allontanare ,i denuncianti dalle loro strutture formative ,attivando una sottile tattica di ricatto psicologico, facendo leva sul potere sociale, economico ,religioso e politico, se questo è motivato dal vangelo…
Eccellenza, probabilmente serve non un direttorio ma una metanoia, Gesù nel vangelo ci ricorda che non è quello che entra nell’uomo che contamina l’uomo ma quello che esce dall’uomo che contamina l’uomo. cfr M.7,10.
Se questa è Parola di verità all’ora bisogna lavorare ad intra e non solo ad extra.

Nel ringraziarla per l’ascolto che certamente non mancherà a un pastore saggio e sensibile come Lei, mi confermo fratello in cristo


+Mario Metodio.


domenica 6 settembre 2015

IL CULTO DELLA PERSONALITA’ UN GIUDIZIO IMMINENTE

DOMENICA XXIII T.O
Propongo una riflessione, sulla lettera di Giacomo, offerta oggi dalla liturgia.
1Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. 2Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. 3Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: «Tu siediti qui comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti in piedi lì», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», 4non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?
5Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? 6Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? 7Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi? 8Certo, se adempite il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura: amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene; 9ma se fate distinzione di persone, commettete un peccato e siete accusati dalla legge come trasgressori. 10Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto; 11infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto anche: Non uccidere.
Ora se tu non commetti adulterio, ma uccidi, ti rendi trasgressore della legge. 12Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché 13il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio.

Giacomo  parla di un tema nuovo, che però si ricollega a ciò che egli intende per vera religiosità (= cura dei poveri). Tuttavia lo si può considerare uno sviluppo più dettagliato dell’esigenza manifestata in 1,27b (= far visita agli orfani e alle vedove nella loro afflizione). Infatti egli tratta un caso che smaschera nella comunità il falso culto della personalità; in questo modo vuol far valere l’onore conferito al povero da Dio stesso. Questa volta Giacomo non si accontenta di una breve sottolineatura, ma tratta il caso diffusamente e in tono molto vivace. Segue, in forma imperativa, un’ammonizione a non collegare la fede cristiana al culto della personalità. Simili casi di culto della personalità sono per Giacomo inconciliabili con la fede del nostro Signore Gesù Cristo della gloria. L’accenno a Gesù Cristo, il Kyrios glorioso della comunità cristiana, sta in efficace contrasto con qualsiasi culto della personalità. Colui che pratica un tale culto, agisce come se il Signore della gloria per la comunità cristiana non fosse più Gesù, ma un altro o altri: quei ricchi il cui ingresso nell’assemblea cultuale della comunità viene festeggiato come una epifania del Kyrios Gesù. Il culto della persona pone così la gloria mondana dei ricchi al posto della gloria di Gesù, la sola valida, ed è pertanto inconciliabile con la fede cristiana. La distinzione tra il povero e il ricco per Giacomo qui forse ha un’importanza relativa: a lui interessa unicamente la reazione della comunità. Lo sguardo dei presenti si dirige automaticamente verso il ricco, mentre degnano il povero appena di un’occhiata. La descrizione diventa particolarmente viva con l’impiego del discorso diretto. Il ricco viene subito invitato dalla comunità ad accettare un buon posto a sedere, mentre al povero si assegna soltanto un posto in piedi o, al più, un posto sul pavimento, più in basso di uno sgabello o di un poggiapiedi. Il disonorante trattamento del povero raggiunge il culmine con l’uso del pronome personale mou dopo upopòdion, il poggiapiedi di me. Chi parla impone al povero di prendere posto in basso, più giù del proprio sgabello, e così innalza se stesso al di sopra di lui. v. 4. Giacomo in forma molto efficace rivolge ai destinatari una prima domanda: essi vengono così coinvolti nel caso in modo ancor più personale. Non avete fatto, in questo caso, distinzioni nel vostro intimo? Il v. 4 parla di sentimenti perversi: hanno trattato il ricco e il povero in modo così difforme perché sono giudici dai sentimenti perversi, ossia totalmente diversi rispetto a quelli di Dio.
v. 5. L’esortazione Ascoltate fratelli miei diletti ha valore di implorazione: Considerate cosa significhi un simile comportamento perché è proprio l’opposto dei sentimenti e del comportamento di Dio. Dio ha scelto i poveri è un’importante verità, frequentemente ripetuta nella Bibbia.
I poveri non sono interessanti per il mondo, non contano nulla. Dio invece ha interesse per loro e ha scelto proprio loro. La scelta di Dio impone dei capovolgimenti dei valori che contano davanti al mondo: ora non è più ricco chi porta anelli d’oro o vestiti lussuosi, ma chi è eletto da Dio. La fede in Dio accorda già ora ricchezze spirituali, vere e durature. L’espressione eredi del regno richiama il discorso delle beatitudini: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio (Lc 6,20). Giacomo ha visto il pericolo, tutt’altro che teorico, che anche nella comunità cristiana si infiltrassero le differenziazioni classistiche particolarmente forti nella antichità e così si oscurasse l’intenzione salvifica di Dio, il quale aveva eletto proprio i poveri. Egli si accorge che nella comunità viene accordata un’eccessiva reputazione ai ricchi, a svantaggio dei poveri.
E tutto questo contraddice la parola di Dio: Non si deve disprezzare un povero saggio, né onorare alcun uomo potente (Sir 10,27); beati voi poveri ... ahimè per voi ricchi (Lc 6,20-24).
vv. 6-7. Le invettive della lettera contro i ricchi ricordano espressioni simili dei profeti (Ger 5,26-27; Mi 6,11-12; ecc.). Gli enunciati di Giacomo contro i ricchi sono del tutto generalizzanti, e l’espressione essi vi trascinano davanti ai tribunalimostra che egli identifica i ricchi con i potenti senza Dio. Probabilmente accenna alle esperienze delle persecuzioni, cui erano esposte le comunità cristiane, specialmente da parte dei giudei.
L’invocazione del nome di Gesù sui cristiani avveniva nel battesimo; con ciò si diventava sua proprietà, come Israele diventò il popolo dell’Alleanza perché su di esso fu invocato il nome di Jahvè (Ger 14,9; Dt 28,10; Sal 9,9). Il bel nome di Gesù è oltraggiato dai persecutori della comunità cristiana, così come Gesù sulla croce fu oltraggiato dai suoi avversari.
vv. 8-9. I cristiani non solo disonorano il povero mediante la preferenza fatta al ricco nella loro assemblea comunitaria, ma trasgrediscono l’espresso comando di Dio, che ha ordinato: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18). Chi invece esercita il culto della persona nei riguardi dei ricchi, compie peccato. Amore del povero e culto dei ricchi si escludono a vicenda. La legge che convince come trasgressori coloro che hanno preferenze per i ricchi a scapito dei poveri è la Bibbia.
v. 10. Chi manca a un solo comandamento, si rende colpevole di tutti perché la legge è un tutto indivisibile.
Questa tesi singolare e quasi sorprendente viene esposta più dettagliatamente nei versi seguenti.
v. 11. La motivazione viene addotta sulla base dell’unico legislatore, che ha emanato tutti i comandamenti. Appunto perché la trasgressione di un qualsiasi comandamento è rivolta sempre contro la volontà del medesimo legislatore, essa è una violazione dell’intera legislazione. La santa volontà di Dio è unica e non si può dividere: non ammette quindi eccezioni. Pertanto, chi viene meno a un solo comandamento manca contro tutta la legge. Ciò sembra a prima vista di un rigore straordinario, ma a una più approfondita considerazione appare fondato sulla santità stessa di Dio. L’indivisibile volontà di Dio viene espressa nel decalogo. Fare eccezione su uno solo dei suoi comandamenti sarebbe intaccare l’unità della sua santa volontà. Soprattutto chi trasgredisce il regale comandamento dell’amore del prossimo, è diventato in linea di principio trasgressore della legge, perché non ha trasgredito un singolo comandamento, ma ha distrutto tutto l’ordinamento etico promanante da Dio, fondato sulla santità di Dio. I singoli comandamenti sono soltanto emanazioni dell’unica e indivisibile volontà di Dio. Il medesimo che ha detto: Non commettere adulterio, ha anche detto: Non uccidere. Perché ora Giacomo, richiamandosi al comandamento regale dell’amore parla proprio di adulterio e di omicidio ? Lo fa perché il rifiuto di amare il prossimo era ritenuto, già nella tradizione precedente, una specie di assassinio. E se si suppone che agli occhi di Giacomo l’amoreggiare coi ricchi sia una specie di adulterio spirituale, si comprende come egli abbia potuto scegliere dal decalogo gli esempi (commettere adulterio e uccidere) in cosciente riferimento al suo caso.
v. 12. Il retto parlare e il retto agire stanno grandemente a cuore a Giacomo. Infatti saremo giudicati mediante la legge della libertà. Per legge della libertà si intende la rivelazione etica di Dio e di Gesù, la quale vuole e può condurre gli uomini alla libertà, e la cui esigenza principale consiste nel comandamento dell’amore.
Con ciò è già detto chiaramente che il compimento del comandamento dell’amore fornirà la misura decisiva per il giudizio, come leggiamo nell’insegnamento di Gesù (Mt 7,19; 25,31-46) e come Giacomo spiegherà a fondo con passione nella grande sezione seguente.
v. 13. La misericordia viene qui interpretata nel senso del comandamento dell’amore: ama il prossimo, cioè sii misericordioso con il povero!
Ne risulta così anche un passaggio organico al testo seguente, in cui si tratta proprio della misericordia verso i fratelli e le sorelle bisognosi, che può salvare l’uomo nel giorno del giudizio.
Questo versetto viene introdotto con una motivazione (infatti). La precedente minaccia del giudizio viene motivata con un pensiero sottinteso: bisogna temere il giudizio, infatti, non ci sarà misericordia verso coloro che non sono misericordiosi. C’è una chiara corrispondenza con la dottrina di Gesù (Mt 5,7; 18,29-34; 25,45-46). Il detto conclusivo la misericordia trionfa sul giudizio ha il tono di una sentenza. Il detto vuol essere un’ultima giustificazione e, insieme, un ammonimento ai lettori.
Questi enunciati conclusivi sul tema legge e giudizio non costituiscono un semplice codicillo alla precedente condanna del culto della persona, ma un efficace motivo congiunto a un pensiero escatologico: pensate al giudizio, che verrà condotto secondo il metro del vostro amore e della vostra misericordia.
 Quale messaggio, Giacomo ci  invia? Come non cadere nella trappola del culto personalistico della fede?


Per riconoscere un cristianesimo secondo Giacomo bisogna anzitutto aver presente la caratteristica negativa di un certo cristianesimo da lui prospettato e stimato vuoto. Si tratta di un cristianesimo indeciso, doppio, dubbioso, che durante le persecuzioni non può non avere un atteggiamento deciso, fiducioso e tutto orientato a Dio. Esso è continuamente oscillante, presto entusiasta, ma privo di perseveranza nel bene. In tale cristianesimo la fede decade facilmente nell’increscioso culto della personalità che adotta misure diverse da quelle di Dio. Esso diventa pertanto facilmente ingiusto e asociale. È un cristianesimo che brilla per la sua sapienza terrena, ricco di cavillose discussioni, legato alla polemica e al settarismo. È irrispettoso e presuntuoso, sempre intento a dare insegnamento agli altri, invece di lasciarsi esso stesso ammaestrare. Perduto dietro il mondo è quindi pieno di gioia sfrenata e mancante della sobrietà cristiana occorrente negli ultimi giorni. I progetti sulla vita sono fatti senza Dio e servono soprattutto all’arricchimento personale, all’insaziabile avidità di denaro e di guadagno. È perciò una vera brama di gloria, che si rivela specialmente nell’ingiusto e asociale comportamento verso i poveri. Un simile apparente cristianesimo, secondo Giacomo, non ha nulla a che fare con il cristianesimo vero.
Il cristianesimo vero, secondo Giacomo, si dimostra attraverso la pazienza e la perseveranza nelle tentazioni sopportate gioiosamente, perché si riconosce in esse un mezzo di prova della fede. La preghiera di questo cristianesimo è fiduciosa, libera da ogni dubbio. I veri cristiani sono umili, pronti ad ascoltare e a lasciarsi ammaestrare. E se essi stessi esercitano un insegnamento, le loro parole sono piene di dolcezza e di sapienza dall’alto. Ciò che contraddistingue il vero cristiano è soprattutto il suo amore per la pace e la sua prontezza nell’aiutare le vedove e gli orfani. Egli non conosce alcun culto della personalità. Suoi amici sono i disprezzati dal mondo, i ritardati, i poveri, poiché Dio stesso ha eletto questi uomini per l’eredità del suo regno. Di conseguenza la fede agisce assieme alle opere dell’amore; anzi, una fede senza le opere è del tutto impensabile per lui. I seguaci di un tale cristianesimo non smaniano di intervenire come maestri tra i loro fratelli; più volentieri ascoltano, perché conoscono i pericoli della lingua. Essi ascoltano la Parola e gli esempi della Scrittura per imitarli. Sempre e in tutto ciò che progettano e fanno, essi dicono: Solo se il Signore lo vuole!. In ogni circostanza della vita sono uniti a Dio, pongono tutto in connessione con Lui e riferiscono tutto a Lui, sia la gioia sia il dolore. Amano la veracità e sono nemici di ogni menzogna e calunnia verso il prossimo. Essi confessano onestamente e lealmente i loro peccati l’uno all’altro, pregano gli uni per gli altri e sono pieni di premura per la salvezza eterna dei fratelli. Essi sanno della corona della vita che Dio ha promesso a coloro che lo amano. Pensano sempre al giudizio imminente. Sanno che sono già arrivati gli ultimi tempi e ciò li rende vigilanti e liberi dalle ubriacature del mondo. Essi attendono pazientemente il Cristo che ritorna.
Io credo fermamente che Gesù firmerebbe ogni frase della lettera di Giacomo
Perché lui testimonia Gesù e insegna a fondare nella sua Parola, il percorso cristiano autentico. Non io penso e dico ,ma io ascolto e amo.


+ Mario Metodio