Il profeta Osea, il perdono come specchio della tenerezza di Dio

di Padre Mario Metodio Cirigliano
RITIRO SPIRITUALE
TORINO 18 Marzo 2012

Osea, in ebraico Hoseah (VIII secolo a.C.?, ...), fu il primo dei cosiddetti profeti minori ed è l'autore dell'omonimo Libro del Vecchio Testamento.
Osea, il cui nome significa «il Signore salva» o «il Signore viene in aiuto»[1], visse nel regno d'Israele nell'VIII secolo a.C.[2]

Il profeta Osea apre nella Bibbia la serie cosiddetta dei profeti minori. Il suo scritto, attraverso il suo dramma personale, vuole descrivere fondamentalmente la fedeltà di Dio verso gli uomini. Nell'omonimo libro il profeta narra, l'immensa fedeltà del Dio di Israele verso il suo popolo; tutto questo viene descritto anche attraverso la sua triste vicenda matrimoniale, contrassegnata dal tradimento e dall'abbandono di sua moglie, che provoca nel profeta ferite e dolore, ma non la rassegnazione nel continuare ad amarla, fino a giungere a perdonarla riaccettandola in casa. È evidente in tutto questo il parallelismo del rapporto tra Dio ed il popolo di Israele.
Nella sua predicazione, il profeta tuona contro la classe dirigente israelita, macchiata da scelte ingiuste e contro la classe sacerdotale che agendo con infedeltà religiosa nei confronti delle leggi di Dio, porterà nel popolo smarrimento, ingiustizie e violenze.
È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la redazione del libro è avvenuta nel Regno di Israele attorno al 750-725 a.C.
È composto da 14 capitoli e descrive vari oracoli del profeta Osea focalizzati in particolare sull'amore di Dio per Israele, che però è infedele con l'idolatria, e annunciano il castigo per Efraim-Samaria (conquista assira del 722).
Il tema fondamentale del libro è l'amore di Dio per il suo popolo. Tutti i suoi castighi sono stati inflitti per amore ed il ristabilimento d'Israele sarà frutto del suo amore[1]. Per contrasto egli mostra il tradimento e l'infedeltà d'Israele. Nondimeno Dio stesso annuncia la redenzione finale d'Israele[2].
In tutto il libro la vita privata del profeta è specchio della relazione di Dio con Israele. Sottolineando che non è l'osservanza rigorosa di una religione fatta di formalismo che conta nella relazione con Dio, ma la fiducia nella sua misericordia. Nello stesso tempo Dio si manifesta come un Dio geloso, che insiste fino alla violenza per essere l'unico Dio di Israele, ricordando continuamente come l'infedeltà del popolo abbia sempre portato alla rovina mentre la fedeltà alla salvezza e alla gloria.
Il libro di Osea è il primo caso nella Bibbia in cui il rapporto tra Dio e il popolo di Israele viene associato ad un matrimonio, immagine ripresa poi da Geremia e più tardi ricorrente in tutto il Nuovo Testamento.
All'inizio del libro il profeta Osea riceve da Dio l'ordine di sposare una prostituta: questo matrimonio illustra l'infedeltà d'Israele verso Dio. La donna rappresenta la nazione d'Israele che praticava l'idolatria e la prostituzione spirituale con la ricerca insensata di alleanze politiche con le nazioni nemiche come l'Egitto e l'Assiria invece di contare su Dio per essere al sicuro. Il risultato sarà la devastazione del paese e la riduzione in schiavitù in terra di Assiria dei sopravvissuti.
Il popolo è esortato a pentirsi per ottenere il perdono di Dio e a non più cercare la protezione di una alleanza militare. Così come la moglie di Osea ha potuto riabilitarsi, così se il popolo si pente otterrà la guarigione e Dio l'amerà senza mezze misure ed Israele prospererà grazie alla sua benedizione
Concordanze                                                                                                          
Questo libro menziona degli avvenimenti raccontati in altre parti dell'Antico Testamento: ci parla ad esempio di Giacobbe, dell'esodo del popolo, dell'idolatria al dio Baal.
Gli apostoli Paolo e Pietro riprendono pensieri di Osea nella lettera ai Romani, nella prima lettera ai Corinti e nella prima lettera di Pietro.
Il libro di Osea è un momento chiave nella rivelazione della misericordia di Dio nell’Antico Testamento. Merita che ci soffermiamo in modo particolare. Gesù stesso citerà, nel vg di Mt, per due volte (Mt 9,13; 12,7) un testo chiave di Osea: "Misericordia io voglio e non sacrificio" (Os 6,6)


Come lo Sposo e la sposa

Osea è il primo dei profeti che ha avuto l’ardire di fare dell’amore umano, che esiste tra lo sposo e la sposa, il simbolo dell’amore di Dio verso Israele, suo popolo; e ha avuto l’audacia di concepire il patto tra Dio e Israele come un’alleanza nuziale, uno sposalizio d’amore, con tutto ciò che in fatto di intimità e di tensione questo possa comportare.
E questa interpretazione si riflette nel suo linguaggio, ricco di tutta una terminologia d’amore, tipica dell’amore sponsale. Così ad esempio egli parla di cuore, di fidanzamento, di fedeltà, di seduzione, di gelosia, di adulterio, di prostituzione.
Come Osea è arrivato ad applicare un così audace simbolismo? Vi è pervenuto, non inventando una parabola a scopo didattico, ma partendo dalla sua esperienza personale di vita, quella di un matrimonio infelice, di un amore tradito:
Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse:
"Va’, prenditi in moglie una prostituta
e abbi figli di prostituzione,
poiché il paese non fa che prostituirsi
allontanandosi dal Signore" (Os 1,2)


Il Signore mi disse ancora: "Va’, ama una donna che è amata da un altro ed è adultera; come il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dei" (Os 3,1).
È riflettendo su questa esperienza drammatica della sua vita matrimoniale che Osea arriva a cogliere il significato simbolico che vi è insito, e comprendere la missione che Dio gli affida: essere cantore e interprete dell’amore nuziale tra Dio e Israele.
Il libro di Osea è tutto un alternarsi continuo di manifestazioni di amore appassionato, di minacce, di gelosia, di rimproveri e denunce contro l’infedeltà, di espressioni piene di tenerezza e di annunci di terribili castighi, infine di promessa restaurazione finale. Da notare che in Osea, come in tutti i profeti, l’ultima parola è sempre una parola di speranza, anche nelle situazioni più drammatiche, perché l’amore del Signore è più forte di tutte le infedeltà dell’uomo.
Nonostante tutto, Dio continua ad amare Israele, a rimanere fedele: non abbandonerà al suo destino la sposa infedele, ma, mosso a compassione (è un capovolgimento), progetta di sedurla nuovamente, di riconquistarne il cuore:
Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2,16).
È in questo tentativo di recupero dell’amore della sposa che si inserisce il tema importante del deserto, come via di ripensamento.
Il deserto è visto da Osea come il tempo della giovinezza di Israele, un tempo in cui, tra le privazioni e l’insicurezza quotidiana, ha vissuto con purezza la sua fede, il suo abbandono in Dio, il tempo in cui ha riconosciuto in Lui l’unico suo Sposo.
Quindi Osea ci vuole mostrare che all’origine del cammino di conversione e di fede c’è l’amore tenero e misericordioso di Dio, che è perennemente, instancabilmente fedele.

Osea è vissuto nel regno del Nord nella seconda metà del secolo VIII. La situazione politica era molto simile a quella che abbiamo incontrato per Amos che precedo solo di poco Osea. Una situazione che appariva positiva, ma che portava in sé l'annuncio della fine.
Osea si trova in una situazione di corruzione morale e religiosamente molto indebolita per la presenza di una idolatria diffusa nel popolo. Il tema degli idoli non è nuovo, ma è nuova la situazione del popolo che non avverte più la esclusività del rapporto con il Dio dei propri padri.
La tentazione è quella del compromesso, un rapporto religioso dove gli opposti si incontrano, dove non si sceglie mai. Pensiamo a questa gente che viveva in mezzo a popoli che avevano un modo diverso di pensare la vita, un modo per certi versi anche più pratico, meno problematico; e possiamo anche comprendere il desiderio di garantirsi quella ricetta che rendeva semplice la vita: l'idolatria appunto.
Idoli: una tentazione di sempre
La mentalità idolatra tende a rendere assoluto ciò che è solamente un mezzo, molto semplicemente si divinizza tutto quello che immediatamente ci porta un vantaggio o anche un danno. È tutto molto semplice, in questo senso, perché siamo esonerati dal guardare più in là del nostro naso, e possiamo costruirci un mondo  che non ci pone problemi, e non perché questi non ci siano, ma solamente perché ci rende incapaci di vederli. La Bibbia infatti parlando degli idoli dice: "hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono… sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida".
Il popolo vorrebbe vivere questo rapporto con il Dio di Mosé, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, in un rapporto molto formale senza tante conseguenze e che salvi le apparenze.
È una tentazione di sempre, la tentazione che coglie spesso anche noi, quando pensiamo alla religione come ad un correttivo sociale, ad una cosa che può essere utile, ma che non merita un coinvolgimento serio. Sono altre le cose serie, sono altre le cose che fanno girare il mondo e che quindi devono far girare anche la nostra vita: gli idoli appunto.
La logica dell'amore.
Il profeta Osea è chiamato a dire la verità alla sua gente, e lo deve fare sposando una prostituta. Con la sua vita deve mostrare quello che pensa e che prova Dio davanti al comportamento del popolo: "và, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore" (1,2).
La vita di Osea diventa una presenza vivente del dolore di un amore offeso, e una passione che consuma, segno reale della passione che Dio sente per l'uomo. Non può esistere un rapporto di comodo con il Signore, perché Lui si è impegnato totalmente, come uno sposo si impegna con la sua sposa. Non è questione di idee diverse, ma di un tradimento che ferisce e che, soprattutto, non ha senso.
Il capitolo 2 è una delle pagine più belle della Bibbia ed è un canto pieno di doloro e di speranza; il canto di Dio per l'uomo che, in ogni tempo, perde l'orientamento e la speranza. Vi è la descrizione dei pensieri che nascono davanti al tradimento e le soluzioni che vengono in mente per recuperare un amore al quale non si vuole rinunciare.
"Accusate vostra madre, accusatela perché essa non è più mia moglie ed io non sono più suo marito. Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni, e i segni del suo adulterio dal suo petto" (2,4). Descrivendo poi il tradimento: "la loro madre si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna. Essa ha detto: "seguirò i miei amanti che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana ed il mio lino,il mio olio e le mie bevande" (2,7).
Il tradimento è proprio questo: le cose che lei andava cercando era quanto in un matrimonio il marito doveva garantire. Tradire non è cercare qualcosa che non trova da chi dovrei; ma non accorgermi che l'amore che vado cercando, i beni dei quali sento i bisogno sono a mia disposizione.  Cercare il significato della nostra vita in mille angoli, rifiutando di prenderlo da Dio, questo è il tradimento. Allora… lo sposo offeso cerca varie soluzioni del tipo: "gliela farò vedere io!", ed abbiamo un quadro della vita dell'uomo qualora Dio si allontanasse da lui (vv. 8-15), è un quadro di disperazione; ma non è la soluzione. Dio rifiuta ogni logica che non sia quella dell'amore, è questa la consapevolezza che ci rende sicuri  e capaci di fidarci di Lui. E infatti è la strada dell'amore che viene scelta per ritrovare la sposa infedele:
"Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. E avverrà in quel giorno, oracolo del Signore, mi chiamerai marito mio e non mi chiamerai più mio padrone. Le toglierò dalla bocca i nomi dei baal che non saranno più ricordati" (vv. 14-17).
È una strada perdente? È LA STRADA DI DIO. È l'unica strada. Capita spesso che le esperienze che ci appaiono più certe di questa, più remunerative ci si presentino con un conto salato, ed è inevitabile, perché chi non ama e chi non ti ama non cerca l'altro, ma solo se stesso. È solo l'amore che cerca e ti cerca per farti "sposa", per trasformare le tue lacrime (questo è uno dei significati della parola Acor), in porta di speranza. Evito, per non cadere in un moralismo da poco, di fare applicazioni; ma Osea ci dice delle cose che devono farci pensare. Vorrei finire con un brano di san Paolo (Rm 5,6-8), proposto dalla Bibbia TOB a commento del messaggio di Osea: "Sì, quando noi eravamo ancora senza forza, Cristo, nel tempo stabilito, è morto per gli empi. Difficilmente si trova qualcuno che accetterebbe di morire per un giusto: forse per un uomo buono uno accetterebbe di morire. Ma in questo Dio prova il suo amore verso di noi: Cristo è morto per noi quando noi eravamo ancora peccatori".

Il termine che, nelle Bibbie italiane, traduciamo con fedeltà [in ebraico è אמת ('emeth) = verità]' è un termine usato anche per le costruzioni in riferimento a ciò che è stabile, sicuro, certo, ciò che rimane uguale a sé stesso, e perciò anche ciò che è vero.
Dio è fedele perché non muta e la Sua bontà non viene meno: "Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in bontà e fedeltà" (Esodo 34:6). Proprio nel Patto Egli manifesta la Sua costante volontà di salvezza, che rimane tale anche quando il Suo popolo diventa infedele. Nel linguaggio dei Salmi, perciò, la fedeltà è uno dei costanti attributi di Dio che si prende cura del credente e non lo abbandona (Salmo 89:2; 119:90; 146:6).
Dal canto suo, anche la creatura umana deve essere fedele a Dio. La sua fedeltà si manifesta nella sua costanza e certezza con cui riceve le promesse di Dio, cioè nella sua fede. Fedele è sinonimo di credente, sia nel linguaggio dei Salmi sia nel Nuovo Testamento, dove un solo termine, πιστός (pistòs) indica colui o colei che crede, e chi si mantiene costante nella propria fiducia in Dio (Matteo 25:21; 2 Corinzi 6:15; Apocalisse 2:10).

In lingua italiana corrente, si applica il termine di fedele a colui che aderisce anche esteriormente, ad esempio frequentandone i riti, a una confessione religiosa, che può essere quella cattolica o altra cristiana o anche di religioni non cristiane.
Lo stesso termine πιστός (pistòs) rende anche nel Nuovo Testamento il concetto biblico della fedeltà di Dio (1 Corinzi 10:13; 2 Corinzi :18; 2 Tessalonicesi 3:3)).
La fedeltà di Dio è particolarmente connessa con la Sua chiamata (1 Corinzi 1:9; 1 Tessalonicesi 5:24) con le Sue promesse (Ebrei 10:23; 11:11), o con la remissione dei peccati (1 Giovanni 1:9).
La fedeltà del credente è il riflesso e la risposta all'indefettibile costanza dell'amore di Dio per lui, manifestatagli nella vocazione che ha ricevuto.
Amore è un sentimento intenso e profondo di affetto, simpatia ed adesione, rivolto verso una persona, un animale, un oggetto o verso un concetto, un ideale. Oppure, può venire definito sotto un altro punto di vista (scientifico), un impulso dei nostri sensi che ci spinge verso una determinata persona.
In italiano
L'amore "romantico" ha un significato, o almeno un significato preciso; quando l'amore fra due esseri umani assume caratteristiche riconducibili al romanticismo (struggimento, comunione, affetto, passione anche fisica), questo viene definito amore romantico, per distinguerlo dal sentimento d'affetto verso i membri di una famiglia o verso altri esseri umani, o anche tra esseri umani e animali domestici. Il termine amore viene anche utilizzato per definire l'intensa passione per qualcosa (un'attività, un oggetto), o come forma di dedizione totalizzante a un ideale, per es. spirituale o religioso.

Innamorati
Il gesto della condivisione disinteressata di qualcosa di proprio con un altro, è solitamente inteso come un gesto d'amore.
Il dibattito sul significato di amore nella lingua italiana è ampio, il termine racchiuderebbe comunemente le seguenti sfaccettature:
  • amore familiare verso i familiari o i parenti
  • amore per gli amici
  • amore per sé stessi
  • amore romantico
  • amore sessuale (considerato da alcuni più un istinto che una vera e propria forma d'amore)
altre lingue
Nel greco antico i termini utilizzati per definire i vari sensi con cui attualmente si usa la parola "amore" sono in maggior numero e perciò più precisi, rispetto alle molte lingue moderne.

  • Agape (αγάπη) è amore di ragione, incondizionato, anche non ricambiato, spesso con riferimenti religiosi: è la parola usata nei vangeli.
  • Philia (φιλία) è l'amore di affetto e piacere, di cui ci si aspetta un ritorno, ad esempio tra amici.
  • Eros (έρως) definisce l'amore sessuale.
  • Anteros (αντέρως) è l'amore corrisposto.
  • Himeros è la passione del momento, il desiderio fisico presente ed immediato che chiede di essere soddisfatto.
  • Pothos è il desiderio verso cui tendiamo, ciò che sogniamo.
  • Stοrge (στοργή) è l'amore d’appartenenza, ad esempio tra parenti e consanguinei.
  • Thelema (θέλημα) è il piacere di fare qualcosa, il desiderio voler fare.
Anche nel greco antico non è comunque possibile tenere i vari sensi ben separati e così troviamo agape talvolta con lo stesso significato di eros, e il verbo agapao con lo stesso significato di phileo (come nell'antico testo greco della Bibbia).
L'ebraico contiene la parola ahava per "affetto" e "favore", ma la più importante è la parola khesed che combina i concetti di "affetto" e "compassione" e viene talvolta tradotta con "tenerezza".
Molti teologi cristiani[senza fonte] ritengono che l'amore degli uomini per le altre creature (e per Dio stesso) sia derivato direttamente da quello di Dio e che da esso derivi inoltre l'amore per tutto il creato. Secondo il Vangelo di Giovanni gli uomini amano il prossimo in Dio e Dio nel prossimo. In ogni essere umano c'è la presenza viva di Dio (in quanto creato a Sua immagine) che spinge chi Lo ama ad amare inevitabilmente ogni uomo. Nel Vangelo di Matteo (Parabola del Giudizio Universale 25,31-46), Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, afferma che tutto ciò che è stato fatto o che non è stato fatto ad un fratello più "piccolo" (cioè ad un essere umano) è stato o non è stato fatto a lui. Gesù afferma anche che l'impulso l'amore del prossimo debbono essere universali, senza discriminazioni tra persone buone e cattive (5,38-48, 6,27-35), pur nella difficoltà che ciò può richiedere (10,16-18. Per Tommaso d'Aquino l'amore è dono, gratuità e fedeltà.
Amore,fedelta   

Non coerenza.

Vista nella luce biblica anche la coerenza umana riceve una luce e una prospettiva che si riesce ad accettare. La coerenza allora può essere vista come la grande virtù di oggi. In questo mondo ancora assetato di amore; in questo mondo "pasticciato, nell’amore ancora balbettato". La coerenza, così intesa, può essere la bussola per non perdere il cammino; può essere la musa ispiratrice per tutto, anche della politica o del lavoro; può essere la marcia in più che tante volte manca o il sale che da sapore al quotidiano e fa delle piccole cose di ogni giorno un’opera grande e "nuova". Anche la nostra coerenza, come tutto nella vita degli uomini, deve convertirsi a Lui che è Verità infinita; questo, mi sembra, siamo chiamati ad annunciare (cfr. 2 Cor. 11).