di Padre Paolo Giordana
Torino, 15 aprile 2012
II Domenica di Pasqua
A
noi tutti è familiare la figura di questo Apostolo: quante volte
l'abbiamo sentito citare nelle omelie e nel linguaggio comune. “Io sono
come San Tommaso, se non vedo non credo!”
Così nella nostra
tradizione lui è diventato il modello dello scettico che ha bisogno di
vedere e di toccare per credere ma che poi, dinnanzi alla prova dei
sensi, ci regala la più bella espressione di fede piena ed autentica “Signore mio e mio Dio”!
Grazie
a lui abbiamo anche una beatitudine in più, quella che riguarda tutti
noi che non possiamo utilizzare i nostri cinque sensi e dobbiamo fare
una professione di fede piena ed autentica per dirci cristiani. “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.
Proviamo
però ora a scendere un po' più in profondità nell'episodio narrato dal
Vangelo di oggi iniziando dalla domanda, a mio giudizio, cardine: perchè
tra tutti i discepoli che c'erano li solo lui non credeva?
La risposta credo sia talmente semplice da risultare quasi banale: perchè l'esperienza del cristiano è personale e finchè non la se è compiuta nessuno può indurti a credere veramente.
Noi
tutti o facciamo esperienza intima e personale di Cristo oppure non
siamo neanche in grado di capire cosa voglia dire la fede. Per noi
cristiani avere fede non è un atto di intelletto, non si tratta di
ragionare su teorie o su sillogismi che ci conducono più vicini
possibile alla verità. Si tratta invece semplicemente di fare
un'esperienza diretta, chiara e pesonale di una persona vivente, risorto
da morti per non morire più: Cristo Gesù.
Questo incontro è ciò
che cambia per sempre chi lo compie; non si può infatti restare
indifferenti all'icontro con Cristo perchè immediatamente noi, non una
parte di noi, e quindi non il nostro cervello o il nostro intelletto, ma
la nostra anima, ciò che è la nostra identità profonda, si rendono
conto dell'immensità e della pienezza di quell'incontro.
Così è
successo a Tommaso: lui, in fondo, il Signore risorto non l'aveva ancora
incontrato, non aveva ancora la fede! Nella sua mente c'era sicuramente
memoria dei fatti e delle parole sentite dal Maestro negli anni
trascorsi assieme. C'erano nel suo cuore dei sentimenti di affetto, di
amicizia per il Maestro e per i compagni di viaggio, ma mancava ancora
una cosa importante: la fede.
Gli mancava quella particolare esperienza che conduce il cristiano a Cristo e lo unisce intimamente a lui.
Molti
sostengono che non abbiano mai avuto questa possibilità, che cioè Dio
non abbia mai bussato alla loro porta e che quindi in loro la fede non
abbia mai avuto occasione di nascere. Nessuno può giudicare la
veridicità di questa frase, solo noi, ciascuno di noi, mettendo la
propria anima a nudo dinnanzi allo specchio può sapere se ciò è vero
oppure no. Sono personalmente convinto che nella vita di ciascuno di noi
non vi sia un momento singolo in cui Cristo ha bussato alla porta della
nostra anima e poi, sconfortato, se ne sia andato, poiché sono certo
che questo momento sia l'intero spazio della nostra vita e che lui sia
sempre li, paziente, ad aspettare che finalmente quella porta si apra.
Se
dunque è vero che l'esperienza di Cristo sia personale ed intima è però
altrettanto vero che gli effetti di tale incontro si riverberano
sull'esterno ed in particolare sulla vita che noi conduciamo con altre
persone... non da soli su un isola deserta.
Così avveniva per i primi cristiani, ricordati nella prima lettura: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola”.
Questi sono gli effetti della fede: coloro che hanno conosciuto Cristo
si ritrovano e condividono con gli altri questa grande gioia, tanto
grande da cambiare e dare un senso nuovo alla vita stessa.
Ecco la
Chiesa: non è un'istituzione, non è potere o ricchezza ma sono tutti
coloro che hanno talmente respirato la presenza di Cristo che non
possono stare in silenzio.
È importante, oserei dire necessario,
che ciascuno di noi torni con la mente a quel momento in cui ha
incontrato il Suo sguardo e rinverdisca la memoria del Risorto nel suo
cuore e nella sua vita, perchè solo da questo atto profondo di fede può
scaturire quell'energia che ci cambia l'esistenza e che cambia la
Chiesa. Ciascuno di noi è il veicolo per la luce di Dio per il suo
prossimo, non possiamo abdicare da questa nostra funzione perchè se lo
facessimo qualcuno non avrebbe quella possibilità che gli spetta, che
Dio desidera per lui, per poter dire con la pienezza del proprio cuore,
della propria anima e di tutto sé stesso: Signore mio e mio Dio!
Torino, 15 aprile 2012
II Domenica di Pasqua
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