Tommaso, l'Apostolo che non credeva

di Padre Paolo Giordana

A noi tutti è familiare la figura di questo Apostolo: quante volte l'abbiamo sentito citare nelle omelie e nel linguaggio comune. “Io sono come San Tommaso, se non vedo non credo!”
Così nella nostra tradizione lui è diventato il modello dello scettico che ha bisogno di vedere e di toccare per credere ma che poi, dinnanzi alla prova dei sensi, ci regala la più bella espressione di fede piena ed autentica “Signore mio e mio Dio”!

Grazie a lui abbiamo anche una beatitudine in più, quella che riguarda tutti noi che non possiamo utilizzare i nostri cinque sensi e dobbiamo fare una professione di fede piena ed autentica per dirci cristiani. “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.

Proviamo però ora a scendere un po' più in profondità nell'episodio narrato dal Vangelo di oggi iniziando dalla domanda, a mio giudizio, cardine: perchè tra tutti i discepoli che c'erano li solo lui non credeva?
La risposta credo sia talmente semplice da risultare quasi banale: perchè l'esperienza del cristiano è personale e finchè non la se è compiuta nessuno può indurti a credere veramente.
Noi tutti o facciamo esperienza intima e personale di Cristo oppure non siamo neanche in grado di capire cosa voglia dire la fede. Per noi cristiani avere fede non è un atto di intelletto, non si tratta di ragionare su teorie o su sillogismi che ci conducono più vicini possibile alla verità. Si tratta invece semplicemente di fare un'esperienza diretta, chiara e pesonale di una persona vivente, risorto da morti per non morire più: Cristo Gesù.

Questo incontro è ciò che cambia per sempre chi lo compie; non si può infatti restare indifferenti all'icontro con Cristo perchè immediatamente noi, non una parte di noi, e quindi non il nostro cervello o il nostro intelletto, ma la nostra anima, ciò che è la nostra identità profonda, si rendono conto dell'immensità e della pienezza di quell'incontro.
Così è successo a Tommaso: lui, in fondo, il Signore risorto non l'aveva ancora incontrato, non aveva ancora la fede! Nella sua mente c'era sicuramente memoria dei fatti e delle parole sentite dal Maestro negli anni trascorsi assieme. C'erano nel suo cuore dei sentimenti di affetto, di amicizia per il Maestro e per i compagni di viaggio, ma mancava ancora una cosa importante: la fede.

Gli mancava quella particolare esperienza che conduce il cristiano a Cristo e lo unisce intimamente a lui.
Molti sostengono che non abbiano mai avuto questa possibilità, che cioè Dio non abbia mai bussato alla loro porta e che quindi in loro la fede non abbia mai avuto occasione di nascere. Nessuno può giudicare la veridicità di questa frase, solo noi, ciascuno di noi, mettendo la propria anima a nudo dinnanzi allo specchio può sapere se ciò è vero oppure no. Sono personalmente convinto che nella vita di ciascuno di noi non vi sia un momento singolo in cui Cristo ha bussato alla porta della nostra anima e poi, sconfortato, se ne sia andato, poiché sono certo che questo momento sia l'intero spazio della nostra vita e che lui sia sempre li, paziente, ad aspettare che finalmente quella porta si apra.
Se dunque è vero che l'esperienza di Cristo sia personale ed intima è però altrettanto vero che gli effetti di tale incontro si riverberano sull'esterno ed in particolare sulla vita che noi conduciamo con altre persone... non da soli su un isola deserta.

Così avveniva per i primi cristiani, ricordati nella prima lettura: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola”. Questi sono gli effetti della fede: coloro che hanno conosciuto Cristo si ritrovano e condividono con gli altri questa grande gioia, tanto grande da cambiare e dare un senso nuovo alla vita stessa.
Ecco la Chiesa: non è un'istituzione, non è potere o ricchezza ma sono tutti coloro che hanno talmente respirato la presenza di Cristo che non possono stare in silenzio.

È importante, oserei dire necessario, che ciascuno di noi torni con la mente a quel momento in cui ha incontrato il Suo sguardo e rinverdisca la memoria del Risorto nel suo cuore e nella sua vita, perchè solo da questo atto profondo di fede può scaturire quell'energia che ci cambia l'esistenza e che cambia la Chiesa. Ciascuno di noi è il veicolo per la luce di Dio per il suo prossimo, non possiamo abdicare da questa nostra funzione perchè se lo facessimo qualcuno non avrebbe quella possibilità che gli spetta, che Dio desidera per lui, per poter dire con la pienezza del proprio cuore, della propria anima e di tutto sé stesso: Signore mio e mio Dio!

Torino, 15 aprile 2012
II Domenica di Pasqua

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