La Teotokos
Meditazione sulla Madre di Dio
di Padre Mario Metodio Cirigliano
1. Una donna ebrea dalla fede profonda.
Il nome Maria viene dall’ebraico “Myriam” o “maryam”. Fra le possibili
etimologie c’è “mara”, “signora”, o “mi-ram”, dalla radice “rym”,
attestata in testi ugaritici col significato di “alta, eccelsa,
desiderata”. Già nel nome della giovane madre di Gesù si riconosce come
ella sia stata l’oggetto dell’attesa dei suoi genitori, desiderata e
amata. Quando concepisce il Figlio, Maria è una almah, termine usato da
Isaia 7,14 (“la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà
Emmanuele”), la cui traduzione corretta è “giovane donna”, una donna
cioè di poco più di 14 anni. Poiché la nascita di Gesù va fissata
intorno al 6 a.C. - almeno due anni prima della morte di Erode, che
aveva ordinato la strage dei bambini dai due anni in giù - la nascita di
Maria può essere collocata fra il 22 e il 20 a.C. Al tempo degli eventi
pasquali del Figlio Myriam aveva dunque fra i cinquanta e i
cinquantacinque anni. La versione greca della Bibbia, detta dei Settanta
e considerata ispirata dall’ebraismo della diaspora, tradusse l’ebraico
almah con la parola greca parthénos, cioè “vergine”, aprendo così la
strada alla lettura del testo come profezia della nascita verginale di
Gesù (cf. Mt 1,23). Maria è una giovane ebrea credente, familiare al
linguaggio delle Scritture, come dimostra il fatto che nel racconto
dell’annunciazione le risultano immediatamente comprensibili i
riferimenti ai Profeti (Isaia 7,14 in Luca 1,31, o a Sofonia 3,14-17 e
Zaccaria 9,9 in 1,28: “chàire, esulta, piena di grazia…”),. È una
credente che osserva scrupolosamente la Torah, mostra ad esempio nella
sua andata al Tempio per celebrare la purificazione rituale dopo il
parto (cf. Luca 2,22-24). La spiritualità di Myriam è quella dello
“Shemà”, cioè dell’“ascolto” obbediente del Dio unico, perché parli
quando e come vorrà alla sua serva e compia in Lei le sue opere: in
questo Maria si colloca al vertice della spiritualità biblica
dell’attesa e dell’accoglienza della Parola divina. Lo si coglie nella
scena dell’adorazione dei pastori, dove Maria è la protagonista,
silenziosa e raccolta, che “custodiva tutte queste cose, meditandole nel
suo cuore” (Luca 2,19). L’espressione richiama un atteggiamento caro
alla tradizione ebraica: il ricordare associando fra loro gli eventi, in
cui si manifestano i misteriosi disegni dell’Altissimo. In ciò consiste
propriamente lo studio della Torah e il greco “symballousa” -
“meditando”, ben richiama quest’atteggiamento di confronto,
intelligenza, giudizio, decisione. Si tratta di un’attitudine costante
in Maria (cf. 2,51), che proprio così si lascia condurre docilmente
dall’Altissimo. Maria è la donna credente e riflessiva, che si abbandona
all’Eterno con serietà pensosa. È questo peraltro il modello di
femminilità nella tradizione ebraica: la donna sa tenersi in prossimità
dell’invisibile Voce e questo la colma della gioia di sapersi amata
dall’Altissimo. Maria è la donna della gioia, che testimonia cantando il
Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta
in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”(Luca
2,46-48). Il suo atteggiamento interiore è ben espresso da questo
canto, che richiama i Salmi degli “anawim”, i “poveri” che confidano
solamente in Dio, e il cantico di Anna (1 Samuele 2,1-10), che si apre
con docilità alla sorpresa di Dio, ma non di meno rivela la profonda
fede di questa donna ebrea, capace di consegnarsi totalmente all’Eterno.
Alla scuola di Maria impariamo il primato della dimensione
contemplativa della vita, quel continuo accogliere l’iniziativa del
Signore, che consiste nel lasciarci amare e condurre docilmente da Lui.
Ci chiediamo: è veramente Dio il signore della mia vita, come lo fu per
Maria? Sono docile alla Sua azione, alla Sua Parola, al Suo silenzio? Mi
lascio guidare da Lui, meditando quanto mi dà di vivere alla luce delle
Scritture, per discernere la Sua volontà e realizzare con Lui il Suo
disegno d’amore per me e per quanti mi affida anche di fronte a momenti
difficili, come ad esempio quelli che la nostra società sta vivendo?
2. Lo stile di vita di Maria.
La scena della visitazione mostra quali siano le caratteristiche
dell’agire della giovane Myriam: ella è capace di un amore attento,
concreto, gioioso e tenero. Il suo amore è attento: Maria non ha bisogno
di richieste per capire il bisogno della cugina Elisabetta, di età
matura e in attesa di un figlio. Intuisce la necessità e le corre in
aiuto: il suo sguardo, nutrito d’amore, ha capito il da farsi al di là
di ogni comunicazione verbale. “Ubi amor, ibi oculus”: dove c’è l’amore,
l’occhio vede ciò che uno sguardo privo d’amore non vedrà mai.
All’attenzione Maria unisce la concretezza: non indulge a sogni di bene,
agisce. L’espressione “in fretta” (v. 39) dice la sollecitudine e la
premura con cui concretizza la decisione di andare in aiuto alla Madre
di Giovanni. Commenta Sant’Ambrogio: “La grazia dello Spirito Santo non
tollera indugi” (Expositio in Evangelium secundum Lucam, 2,19)! L’agire
di Maria, poi, è pervaso di gioia: non vive i suoi atti come il
compimento di un dovere o in ottemperanza a un obbligo impostole dalle
circostanze. In lei tutto è gratuità, bene diffusivo di sé, generosità
vissuta senza calcolo o forzature. Gioia è sentirsi amati così
profondamente da avvertire l’incontenibile bisogno di amare, per
corrispondere all’amore ricevuto al di là di ogni misura con l’amore
donato senza condizioni. Proprio così tutto in Maria si mostra nel segno
della tenerezza, propria dell’amore che non crea distanze, che
avvicina, anzi, i lontani, facendoli sentire accolti e li riempie dello
stupore e della bellezza di scoprirsi oggetto di puro dono. “A che cosa
devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo
saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel
mio grembo” (vv. 43s). La tenerezza è dare con gioia suscitando gioia
nell’amato: chi non ama con tenerezza, crea dipendenze o mantiene
distanze in cui è impossibile far sprigionare la gioia. In tutto questo,
Maria è un modello per tutti, specialmente nei rapporti familiari. Ci
chiediamo allora: qual è il mio stile di vita? Sono come Maria attento
agli altri, all’altro, ai bisogni espressi o inespressi di chi mi sta
davanti, di chi Dio mi chiama ad amare e servire? So essere concreto nel
mio modo di amare, agendo con la tenerezza che coniuga il rispetto e
l’attenzione all’amore che rende liberi e genera la pace del cuore?
Cerco di avere attenzione e solidarietà verso chi soffre, ad esempio
verso chi sta vivendo le conseguenze dell’attuale crisi specialmente per
la mancanza o la precarietà del lavoro?
3. Il rapporto col Figlio.
Nella vita di Gesù la Madre ha avuto un ruolo decisivo. Per l’ebraismo è
la donna che trasmette l’appartenenza al popolo eletto (è ebreo chi
nasce da madre ebrea), generando il proprio figlio alla coscienza
dell’alleanza con Dio, anzitutto attraverso la vita familiare. Il
contesto domestico è considerato un “piccolo tempio”, nel quale la
tavola costituisce “l’altare”: e la donna è la responsabile della
liturgia domestica e dell’osservanza delle norme di purità che regolano
la vita quotidiana. La tradizione rabbinica sottolinea che la Torah
rivelata al Sinai fu data prima alle donne, poiché senza di esse la vita
ebraica non sarebbe stata possibile, e invita perciò i mariti ad
“ascoltare” le proprie mogli, poiché è per loro merito che le
benedizioni raggiungono la famiglia. La famiglia diventa così il nucleo
più importante dell’ebraismo, al cui interno decisivo è il ruolo della
donna. Secondo i maestri ebrei è compito degli uomini insegnare il
contenuto della rivelazione, la Torà e il Talmud, mentre quello della
donna è di trasmettere l’esperienza della rivelazione, il senso del
mistero, senza il quale i contenuti non avrebbero valore e il loro
studio sarebbe puro esercizio intellettuale. Perciò è sempre la donna ad
accendere e benedire le luci del sabato, simbolo del dono della vita.
Maria ha assolto pienamente questo ruolo, come mostrano le due visite al
tempio per la circoncisione di Gesù e per il suo “bar mitzvah”, la
festa dei dodici anni, ovvero della maggiore età per un bambino ebreo.
In esse Maria mostra tutto il suo rispetto per la tradizione dei Padri: è
la madre ebrea che educa il figlio, che le è sottomesso (cf. 2,51),
secondo la Legge del Signore. Madre attenta e tenera, vive le attese, i
silenzi, le gioie e le prove che ogni mamma è chiamata ad attraversare: è
significativo che non sempre comprenda tutto di lui (così in Luca 2,50,
dopo il ritrovamento di Gesù e la sua risposta). Avanza, però,
fidandosi di Dio, amando e proteggendo a modo suo quel Figlio, così
piccolo e così grande, con una mescolanza di prossimità e di dolorosi
distacchi, che la rendono modello di maternità: i figli vengono generati
nel dolore e nell’amore per tutta la vita! Così Maria è esempio di
madre, capace di un’azione educativa fatta di condivisione del tesoro
del cuore, di pazienza e di fermezza, di progressività e di fiducia
nell’Altissimo. Ci chiediamo allora: nella nostra responsabilità di
testimoni e generatori della vita che viene dall’alto ci sforziamo di
essere come Maria nel suo rapporto con Gesù, vicini con tenerezza a chi
ci è affidato e rispettosi della sua libertà e del suo mistero? Siamo
pronti ad affidare tutto a Dio senza sottrarci ad alcuna delle nostre
responsabilità? Siamo capaci di ascolto verso tutti, senza venir meno al
dovere di testimoniare la verità che solo libera e salva?
4. Il servizio di Maria e il nostro.
Maria accompagna Gesù nella vita pubblica, a partire dall’episodio, che
può considerarsi il compendio di tutto ciò che verrà, le nozze di Cana,
dove Gesù si manifesta come lo Sposo divino, che conclude con il popolo
l’alleanza nuova e definitiva. Si è alla svolta decisiva della storia
della salvezza e la Madre ha in essa un ruolo, che l’Evangelista ha
voluto evidenziare. È lei a notare il bisogno cui è necessario
provvedere: “Non hanno più vino” (Giovanni 2,3). Si manifesta qui ancora
una volta l’attenzione di Maria. Nel vino, poi, nominato cinque volte
nel racconto (vv. 3.9.10), è possibile riconoscere un segno dei tempi
messianici (cf. ad esempio Amos 9,13: “dai monti stillerà il vino nuovo e
colerà giù per le colline”), che caratterizzerà il banchetto
escatologico (cf. Isaia 25,6) e sarà offerto con gratuità. Il vino nuovo
allieterà il giorno delle nozze eterne fra il Signore e il suo popolo
(cf. Osea 2,21-24). In questa luce, il banchetto nuziale di Cana appare
come l’ora dell’intervento definitivo di Dio, che viene a compiere in
maniera sovrabbondante l’attesa e trasforma l’acqua della purificazione
dei Giudei (acqua della preparazione e del desiderio: cf. v. 6) nel vino
nuovo del Regno. La risposta apparentemente tagliente di Gesù: “Donna,
che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (v. 4) indica la novità
sorprendente di questo passaggio che si compirà a pieno nella Pasqua.
Quanto la Madre dice ai servi è di grande importanza: “Qualsiasi cosa vi
dica, fatela” (v. 5). Come il popolo dell’antico patto risponde alla
rivelazione al Sinai assentendo nella fede - “Quanto il Signore ha
detto, noi lo faremo” (Esodo 19,8; 24,3.7) -, così Maria manifesta la
sua fiducia incondizionata nel Figlio, che ha evocato il mistero della
sua “ora”. L’invito, poi, che rivolge ai “servi” mostra il ruolo di
modello e madre nella fede che avrà nella comunità dell’alleanza: in
Maria l’antico patto passa nel nuovo, Israele nella Chiesa, la Legge nel
Vangelo. Nella Chiesa nata dalla Pasqua di Gesù, la Vergine Madre è
colei che presenta al Figlio i bisogni dell’attesa e conduce alla fede
in Lui, condizione necessaria perché il vino nuovo riempia le giare
dell’antico patto. Il servizio di Maria è di orientarci a Gesù e di
portarci a compiere la Sua volontà. Siamo pronti a rispondere all’invito
della Madre, per metterci a nostra volta al servizio degli altri nella
maniera più vera e feconda, che è quella di introdurli alla fede con la
fede vissuta e testimoniata? Sappiamo dire con le labbra e con la vita
le parole che indicano a ciascuno la strada della libertà e della
realizzazione più piena di sé, “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”?
5. Maria sotto la Croce.
Quanto a Cana è prefigurato, viene a compiersi nell’ora della Croce.
Gesù morente si rivolge a sua Madre e al discepolo che egli ama
(Giovanni 19,25-27): la chiama con l’appellativo “donna” (v. 26),
applicato dalla Bibbia a Gerusalemme e al popolo eletto, quasi a
indicare in Maria il popolo eletto della prima alleanza e il popolo
radunato dal suo sacrificio pasquale. Accanto alla Madre c’è il
discepolo amato (cf. v. 26), simbolo di ogni altro discepolo. A partire
dall’“ora” della croce (cf. v. 27) il discepolo accoglie la Madre “fra
quanto gli è proprio” (“eis tà ídia”: v. 27): non si tratta soltanto
dell’accoglienza “in casa sua”. L’espressione va riferita al mondo
vitale, all’ambiente esistenziale (così, ad esempio, in 1,11, detto di
Israele in riferimento al Verbo, o in 10,4, detto dei discepoli in
riferimento a Gesù): essa sta a dire che la Madre entra nel più profondo
della vita del discepolo, ne fa ormai parte come bene irrinunciabile.
Il rapporto che il Crocifisso stabilisce fra la Madre e il discepolo
appare allora intensissimo: in quanto la “donna” è figura dell’antico
Israele e il discepolo della Chiesa credente, il messaggio è che
l’antico Israele entra a far parte in modo vitale del nuovo. La Chiesa
riconosce in Israele l’antica madre che porta al centro del suo cuore.
In quanto la “donna” rappresenta il popolo dell’era messianica e il
discepolo è il tipo di ogni singolo credente, la loro reciproca
appartenenza sta a dire la reciproca appartenenza fra la Chiesa - madre e
i figli della Chiesa: al discepolo la Chiesa sta a cuore come madre
amata, bene prezioso affidatogli dal Redentore crocifisso. Infine, in
quanto la madre è la singola donna concreta, la madre di Gesù, il testo
sembra evidenziare un rapporto privilegiato fra lei e ogni singolo
credente, oltre che fra lei e l’intera famiglia dei figli di Dio: Maria
fa parte della Chiesa e della vita di fede del discepolo come bene
prezioso, valore vitale. Insieme, in lei la Chiesa e i singoli credenti
potranno riconoscere la Madre, a loro affidata e a cui sono affidati. In
questa luce, Giovanni 19,25-27 testimonia il significato che la Chiesa
sin dalle origini attribuisce alla Madre del Signore per la sua vita
presente e futura, specialmente nello stare sotto la Croce del Messia,
lasciandosi sempre di nuovo generare dal “sangue” e dall’“acqua”
scaturiti dal suo costato lacerato. Mi relaziono così a Maria? Riconosco
in Lei la Madre cui Gesù mi ha affidato e che mi aiuta a riconoscere
Lui nei fratelli e gli altri come fratelli in Lui? Lascio che l’amore a
Maria nutra in me l’amore alla Chiesa e alla fede dei Patriarchi e dei
Profeti?
6. Perseverante nella notte della fede. Alla morte del Figlio,
abbandonato sulla Croce, segue un
tempo oscuro, il sabato santo della prostrazione e dell’attesa, in cui
la tradizione cristiana ha riconosciuto un ruolo unico a Maria, la
Vergine Madre di Gesù. Mentre il Figlio giace morto nel sepolcro, la
Madre custodisce la fede, abbandonata nelle mani del Dio fedele che
compirà le Sue promesse. È perciò antico uso liturgico consacrare il
sabato alla Vergine, quale memoria di quel “grande sabato”, nel quale in
Lei si raccolse tutta la fede della Chiesa e dell’umanità, nell’attesa
trepida della risurrezione. Il sabato santo di Maria parla in modo
eloquente a noi, pellegrini nel grande sabato del tempo, che sfocerà
nella domenica senza tramonto, quando Dio sarà tutto in tutti e il mondo
intero sarà la patria di Dio. Nel tempo del silenzio di Dio, nello
stupore dolente davanti al Dio crocifisso e abbandonato, viene allora da
chiederci sull’esempio e con l’intercessione di Maria: credo veramente
in Dio? Mi pongo in ascolto docile e perseverante del Suo progetto
d’amore su di me? vivo la gioia del sapermi amato con Cristo e in Lui
dal Padre, anche nel tempo della prova e del silenzio di Dio? irradio
questa gioia? cerco di piacere sempre e solo a Dio nell’eloquenza dei
gesti, senza inseguire l’immagine o crearmi maschere di difesa o di
evasione? Possa la Vergine Madre aiutarci a rispondere con verità a
questi interrogativi e a vivere, come lei l’ha vissuto, il primato
dell’amore e della fede nel lungo sabato del tempo, di cui il sabato
santo è figura e profezia, finché venga la domenica senza tramonto,
nella quale Maria è già entrata, anticipando il destino di quanti
avranno creduto nel suo Figlio, amando e sperando con l’aiuto della Sua
grazia.
7. Aperti con Maria alle sorprese del Signore.
Chiediamo insieme a Maria di intercedere per noi e di ottenerci una
fede irradiante, una speranza viva e una carità operosa: Prega per noi,
Maria, Figlia di Sion, donna dell’ottavo giorno, in cui l’Eterno compì
le meraviglie della nostra salvezza! In Te, Vergine accogliente, rifulse
l’Amore umile che aveva reso possibile il primo mattino degli esseri.
In Te, Vergine dell’ascolto, la fede di Abramo toccò il vertice puro fra
quanti credettero nell’impossibile possibilità di Dio. Per il Tuo sì
ospitale la promessa divina si realizzò in Gesù, l’atteso delle genti:
la notte del Tuo grembo verginale fece spazio alla Luce della vita. La
notte del Tuo amore materno accompagnò i Suoi passi fino all’estremo
abbandono. La notte della Tua fede umile condivise l’ora delle tenebre,
quando la spada ti trapassò l’anima come i chiodi il corpo del Tuo
Figlio. Il Tuo cuore trafitto custodì nella fede l’attesa innamorata
dell’aurora. Tu sei la Madre dell’amore abbandonato, la Sposa dell’amore
vittorioso, la Regina della notte del Messia! In Te, al compimento di
quella notte, si offrì la luce dell’aurora: Tu primizia degli amati nel
cuore dell’Amato, con Lui nascosta in Dio nella Tua carne di donna,
meraviglioso pegno dell’umanità nuova, riconciliata per sempre
nell’amore. Prega per noi, Maria, Vergine e Madre, Sposa e Regina, e
ottienici dal Figlio Tuo e Redentore nostro una fede sempre più viva e
innamorata, una speranza ardente, una carità umile e operosa, capaci di
attrarre a Lui ogni cuore aperto alla verità che libera e salva. Amen.
Alleluia.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.