Quando tutto sembra andare alla deriva, quando, lo
stesso annuncio della Buona Novella, sembra perdere di senso, lo stesso Natale
,come incarnazione e l’Epifania come
manifestazione, del Logos, rimangono liturgie incensate dentro a chiese di pietra, da questo salmo ,il cui
inno di lode ,colloca l’uomo , al centro della creazione, è un invito anche per noi, a celebrare la speranza, che viene da
Dio.
Meditazione sul salmo 8 d’esegesi biblica.
Un inno alla grandezza del Signore
La lode della persona umana viene posta in mezzo a un
mare di guai; c’è un’isoletta con l’uomo glorioso e intorno… una burrasca
oceanica. Notiamo in partenza che il versetto del salmo «Di gloria e di onore
lo hai coronato» non dimentica tutto il male, il disordine, la sofferenza,
l’ingiustizia che circonda questa isola felice. Se partiamo da questo
presupposto possiamo accorgerci che il Salmo 8 non è il sogno idilliaco di uno
che vive fuori del mondo, che vede tutto roseo perché non ha esperienza di
vita; anzi esprime proprio la consapevolezza che, nonostante tutte le
situazioni negative, al centro c’è la dignità della persona umana. Questo è il
primo punto da cui partiamo. Per aiutarci a capire che questo Salmo è un centro, il testo comincia e finisce con la stessa
frase: è un indizio letterario importante 2 O Signore,
Signore Dio nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Così
inizia e nello stesso identico modo finisce: 10 O Signore,
Signore Dio nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! È una
esclamazione che indica lode, apprezzamento, stima: “Quanto è meraviglioso il
tuo nome”. Sapete che nell’originale ebraico dietro al termine “Signore” c’è il
nome proprio di Dio – impronunciabile – scritto con le quattro lettere
maiuscole ( YHWH ) e per questo chiamato tetragramma sacro. Nella tradizione
ebraica questa formula si leggeva come Adonai, tradotta
con K.rios in greco, Dominus in
latino, Signore in italiano; è il nome proprio di Dio ed è
il termine che è entrato nel nostro linguaggio dialettale, ad esempio, per
indicar Dio. Non abbiamo infatti nei nostri dialetti il termine Dio, ma abbiamo
solo “il Signore”. Il Signore non
è un termine generico come sembra a noi in italiano, ma è il nome proprio di
Dio che indica la sua persona in quanto tale. Ecco perché è ripetuto due volte:
“O Signore, Signore nostro”, perché nel primo caso è il nome proprio, nel
secondo è il titolo che lo lega a noi. Nel primo caso è il vocativo del nome
personale ed è come se noi ci rivolgessimo a una persona chiamandola per nome e
poi sottolineando che è il nostro Signore, cioè strettamente legato con noi: “O
Adonai, Adonai Elohenu”. Non un Signore qualsiasi, ma “nostro” Signore.
“Il nome” – nel linguaggio biblico – indica la persona in quanto
conosciuta, la persona con cui si è in relazione. Quindi il “nome” è molto di
più del semplice titolo denominativo, indica infatti la persona in quanto tale.
Dire: “il tuo nome è mirabile” significa che la tua persona, che io
conosco, è ammirabile, meravigliosa. L’inizio e la fine del salmo contengono
quindi una esclamazione di stupore ammirato con cui la persona dice a Dio –
chiamandolo per nome e sottolineando la relazione di unione – “Che persona
meravigliosa sei!”. Come faccio a capire che sei una persona meravigliosa? Me
ne accorgo da tutta la terra! Mi accorgo del riflesso della tua persona in
tutto ciò che esiste; contemplo nel creato il riflesso della tua meraviglia. E
allora, proprio perché riconosco questa grandezza della persona di Dio, vedo
nella persona umana il massimo riflesso di tale grandezza.
Dai bambini impariamo a sostenere Dio.
3 con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una
difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. È una
immagine interessante, ma non chiarissima. Si dice che il Signore difende il
suo nome con la bocca di bambini e di lattanti. Quasi a dire che difendere la
grandezza di Dio è un lavoro da bambini, cioè facilissimo: anche un bambino
riesce a spiegarla. Forse però il significato potrebbe essere più complesso,
come dire: proprio attraverso coloro che non sanno ancora parlare viene la più
valida testimonianza della grandezza di Dio. In genere il lattante non è ancora
in grado di parlare, perciò il bambino piccolo viene detto infante, perché non parla. Bene: proprio lui è capace
di presentare la grandezza di Dio. Piccolo, debole, meraviglioso bambino, è lui
stesso un discorso su Dio, più eloquente di un grande trattato filosofico o
teologico. La contemplazione delle manine del bambino, la meraviglia delle sue
emozioni, di quando comincia a riconoscere la madre con il sorriso, è un
discorso di Dio. È quindi la meraviglia suscitata dalla perfezione di una
creatura appena nata a dire quanto sia mirabile il nome di nostro Signore che –
in quanto creatore – imprime alla persona umana una mirabile somiglianza con
sé. Se nell’adulto diamo questa realtà per scontata, nel bambino suscita
meraviglia; è proprio con la bocca di un bambino infante che il Signore riduce
al silenzio nemici e ribelli.
Dalla piccolezza all’importanza dell’uomo
4 Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la
luna e le stelle che tu hai fissato, 5 che cosa è
mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? In
che contesto della giornata è ambientato il salmo? Chiaramente di notte, perché
il poeta alza gli occhi verso i cieli e vede la luna e le stelle. Non dice che
vede anche il sole, quindi dobbiamo riconoscerlo come un particolare
importante. È un salmo notturno, una preghiera della notte, il discorso di un
pastore errante dell’Asia che esce dalla tenda. Immaginatevi il vecchio Abramo
che aspetta il figlio promesso da Dio, ma il figlio non arriva. Mentre Sara
russa beatamente nella tenda, lui non riesce ad addormentarsi, esce e si mette
a contare le stelle. Ha contato già tutte le pecore, ma non è servito; il
Signore allora lo invita contare le stelle e il povero vecchio Abramo – con il
magone per la mancanza di discendenza – sotto quella meraviglia di cielo
stellato sembra dire al Signore: “Questa è la tua grandezza e allora… che cos’è
l’uomo perché te ne ricordi?”.
La formula è interrogativa e c’è una finezza
intenzionale: “Ma te ne ricordi davvero? Signore, ti ricordi che ci sono
anch’io? Mi sembra strano. Come fai a ricordartene con tutte le stelle che hai
da accendere? Guarda quanto lavoro hai fatto stanotte per creare un cielo così
bello; è possibile che ti ricordi anche di me?”. Noi che abbiamo la possibilità
di vedere la terra dallo spazio – almeno dalle fotografie che gli altri hanno
fatto – ci rendiamo conto molto di più degli antichi di quanto siamo piccoli e
sperduti nell’universo. Eppure gli antichi saggi erano in grado di percepire
questa infinita piccolezza della persona umana rispetto alla grandezza del
cosmo. Esprime così la consapevolezza del limite e diviene preghiera della
persona che celebra il proprio limite. Non è l’io arrogante, prepotente padrone
di tutto, ma carico della consapevolezza della propria enorme povertà, della
propria limitatezza. Io sono un granellino di polvere sperduto nel deserto,
eppure sono convinto che tu ti ricordi di me. “Ma te ne ricordi
davvero?”. 6 Davvero l’hai fatto poco
meno di un dio, La precedente traduzione CEI rendeva: «l’hai fatto poco meno degli angeli». Il testo ebraico
adopera infatti il termine Elohim che
indica propriamente il nome di Dio, ma è il nome comune di Dio. YHWH invece è
il nome proprio. Uno indica la persona in quanto tale, l’altro indica il genere
di appartenenza. Elohim è usato anche per gli dei stranieri e, in un’epoca
arcaica, Israele non aveva l’idea filosofica-teologica del monoteismo, adorava
un Dio solo, senza respingere in modo sistematico l’esistenza di altre
divinità. Invece i LXX – cioè gli ebrei traduttori della Bibbia in greco nel II
sec a.C. – hanno reso l’espressione originale ebraica Elohim con “angeli”,
perché hanno intuito addirittura una possibile allusione politeista – lo hai
fatto poco meno degli elohim (in
ebraico elohim è un termine plurale) – e allora hanno
pensato ad un riferimento alle varie divinità. Ormai, però – nel II sec. a. C.
– i giudei avevano maturato l’idea rigidamente monoteista e non hanno perciò
osato tradurre con un termine che indicasse altre divinità. Quelli che potevano
essere considerati dèi erano infatti semplicemente degli angeli, cioè delle
figure soprannaturali, ma inferiori a Dio e dipendenti da Dio. Ecco allora il
motivo per cui in greco la LXX tradusse: «l’hai fatto poco meno degli
angeli». Così ha mantenuto la Volgata, così aveva tradotto anche il
testo CEI del 1971. Nella nuova traduzione si è pensato di scavalcare la
tradizione plurisecolare e di ritornare al senso originale dell’ebraico, anche
perché nel nostro linguaggio una affermazione del genere: “lo hai fatto poco
meno di un dio” non fa problema. L’uomo è quasi un dio, è stato fatto però poco
meno. di gloria e di onore lo hai coronato. Questo versetto testimonia a pieno
la grandezza della creatura umana e lascia intravedere la destinazione gloriosa
che lo attende. Vedremo che il riferimento preciso è a Cristo, ma Cristo, in
quanto uomo, riflette la condizione di tutti gli uomini che si affidano a
lui. 7 Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi: 8 tutte le
greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna, 9 gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni
essere che percorre le vie dei mari. Un bell’elenco di animali. Dove sta la
dignità dell’uomo? Nel fatto di avere potere sulle opere delle mani di Dio,
cioè di mettersi sotto i piedi greggi, armenti, bestie della campagna, uccelli
del cielo e pesci del mare? Ma ve li siete mai messi sotto i piedi gli uccelli
del cielo e i pesci del mare? E se voi doveste presentare la dignità della
persona umana, usereste questo linguaggio? Per dire che l’uomo è una grande
creatura, direste che domina sugli animali, dilungandovi nel presentare i vari
generi di animali? No!
Noi diremmo dell’altro; questo linguaggio non appartiene al nostro modo di
parlare. Ma nella prima pagina della Genesi, nel grande poema sacerdotale della
creazione – laddove si parla dell’uomo creato a immagine di Dio – quando Dio dà
la benedizione all’uomo, che cosa gli dice? «Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli
del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Genesi 1,28).
L’uomo, pastore della propria animalità
Siamo di nuovo da capo. Se quel quadro iniziale è
l’emblema del personaggio vertice, per definire l’umanità la si caratterizza
come chi domina gli animali? Ci accorgiamo che ci deve essere qualcos’altro?
Una lettura letterale è estremamente povera. Vuol dire che il nostro teologo ha
messo come caratteristica fondamentale dell’uomo il fatto di dominare gli
animali? Questo significa essere uomo, questa è la sua grandezza? State dicendo
mentalmente di no, ma nello stesso tempo vi state domandando: “Ma allora che
cosa significa?”. Possiamo quindi affermare che: L’uomo diventa umano, quando sa
essere pastore della propria animalità. Ecco il significato di
quell’elenco di animali. C’è una animalità anche nell’uomo che è posto proprio
poco sotto Dio, ma sopra gli animali: l’immagine della persona in relazione con
Dio vuole indicare, in questo quadro poetico e teologico, la tensione dell’uomo
che domina la propria animalità per tendere alla divinità. L’imperativo di Dio:
“Siate fecondi” non significa semplicemente “fate figli”, ma piuttosto
crescete, nel senso di maturare e in questa dinamica umana l’aiuto di Dio è
indispensabile. È per questo che, sempre nella creazione, Dio dice “facciamo
l’uomo” (Gen 1,26). Un plurale proprio per esprimere che solo assieme, nella
buona relazione dell’uomo con Dio – quel rapporto che Paolo chiama “giustizia”
– l’uomo viene “fatto”, “costruito”, “realizzato” nella pienezza della sua
umanità. «Crescete» è quindi un verbo molto più profondo, non
significa aumentate di statura e neanche unicamente di numero. Significa
entrambe le cose; lo si dice a un bambino piccolo, augurandogli di diventare
grande. Ma dove sta il significato metaforico nella benedizione che Dio dà
all’essere umano all’inizio? È una benedizione di crescita. Questo vale anche
quando la statura si ferma e vale anche quando di figli non se ne mettono al
mondo più. L’imperativo “crescete”– che è benedizione, non comando – vale per
tutti i giorni della nostra vita, in tutte le condizioni. La traduzione dice
“siate fecondi” che non è solo una questione riproduttiva, perché mentre questa
non è possibile per tutti gli esseri umani (e l’Antico Testamento indica molte
situazioni di sterilità), la fecondità, cioè la crescita umana e spirituale è
possibile a tutti. Crescete e moltiplicate le relazioni, diventate grandi,
capaci di molteplici relazioni. «Riempite la terra»,
cioè portatela a compimento, date pienezza al mondo, non semplicemente occupate
tutti gli spazi liberi, ma rendete piena l’esistenza terrena e soggiogate, cioè
mettete sotto il giogo due elementi diversi; è l’immagine dei due elementi
animali che vengono uniti per un servizio. «Dominate». la
psicologia analitica moderna direbbe: dominate quegli istinti profondi che
nuotano nell’abisso del vostro sub-conscio. Ci sono dei pesci profondi su cui
voi dovete dominare e ci sono anche degli elementi che volano alto: sono
proprio i vostri desideri, come gli uccelli del cielo, le aspirazioni, i grandi
ideali, le ambizioni più eccelse. Mettete sotto i piedi, sia i pesci del mare
sia gli uccelli del cielo e tutti quegli altri elementi selvatici e domestici
che fanno parte della vostra sensibilità. Alcuni sono facilmente
addomesticabili, altri sono invece molto più restii a lasciarsi sottomettere. È
tutto quello che striscia a fior di pelle: sensazioni, emozioni, reazioni che
fanno parte del tuo carattere, del tuo essere.
La dignità dell’uomo sta proprio in questa capacità di
dominare, non eliminare, ma controllare, pascere questo gregge immenso che è
tutto l’insieme della nostra animalità, del nostro essere, del nostro essere
animale. Animale in fondo ha la radice di anima. In greco zóon “animale”, “essere vivente” ha la radice
di zoécioè “vita” (lo stesso vale anche in ebraico per il
vocabolo chajah). Quindi non si parla tanto di animali come
bestie, ma di “viventi”. Perciò l’uomo diventa umano nella sua capacità di
pascere la propria animalità, mentre – quando l’animalità predomina – l’uomo è
disumano e perde la dignità. Facendo degli elenchi di animali, l’autore
suggerisce degli esempi. Prendete i giornali e avete anche oggi tutti gli
esempi che volete di atteggiamenti umani e dis-umani. A che cosa sono dovuti?
All’emergere di pulsioni, desideri, rabbie, paure, ambizioni e di tutti gli
elementi che fanno parte della nostra vita, anche di coloro che hanno vissuto
bene, con una grande dignità umana.
La lettura cristologica del salmo
5 Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il
figlio dell’uomo, perché te ne curi? Ma chi è quest’uomo di cui si parla? È
l’uomo in genere? La poetica ebraica ha l’abitudine di dire due volte la stessa
cosa, con un sistema che si chiama parallelismo. La seconda metà del versetto
ripete quindi la prima metà, cambiando parole e il cambio delle parole molte
volte è utile per poter capire qualche termine. Nella seconda parte, dunque, il
termine uomo è parafrasato con «figlio dell’uomo».
Che cosa vuol dire “figlio dell’uomo”? Non è certo una formula banale,
semplicemente un sinonimo di uomo! Il termine “figlio dell’uomo” è un termine
tecnico di tipo messianico, apocalittico, legato a una figura celeste che viene
sulle nubi del cielo. Lo si trova nel Libro di Daniele al capitolo 7. Ed è
proprio questa la formula che Gesù adopera più comunemente per parlare di sé.
Quando infatti Gesù vuole sottolineare la propria dimensione trascendente si
definisce “figlio dell’uomo”. Chi è allora quest’uomo di cui parla il salmo?
Non uno qualunque, ma il Figlio dell’uomo, cioè la figura messianica per
eccellenza, il modello dell’umanità. Bisogna avere il coraggio di riconoscere
che l’antico autore del salmo aveva una tensione in avanti pur senza capire
bene ancora verso che cosa; ma nella rilettura cristiana – dopo l’evento
storico di Gesù Cristo – noi abbiamo la possibilità di capire il testo meglio
di come lo pensava l’autore. Lo comprendiamo meglio noi di chi lo ha scritto,
perché gli autori della Bibbia sono due: l’uomo che lo ha messo per iscritto e
Dio che lo ha ispirato. Nel testo c’è infatti di più di quel che c’era nella
testa dell’autore umano. Il testo biblico è portatore di un significato più
grande e l’autore divino vi ha messo una potenzialità di senso che si può
capire solo dopo. La tradizione cristiana, infatti, ha letto questo salmo in
chiave cristologica e diverse volte questo scritto è citato nel Nuovo
Testamento. L’evangelista Matteo al capitolo 21, durante l’ingresso di Gesù in
Gerusalemme – quando i bambini hanno cantato “Osanna” e le autorità giudaiche
hanno imposto di farli tacere – mette sulle labbra di Gesù queste parole: «Non
avete mai letto nel salmo che sono i bambini e i lattanti che procurano la lode
a Dio contro nemici e avversari?». Quelli potevano dire: “Che cosa c’entri tu?
Nel salmo si parla di Dio”. Gesù usa quel salmo per dire: “Vedete? Adesso i
bambini stanno lodando il nome di Dio e chiudono la bocca a nemici e ribelli.
Loro hanno capito molto più di voi”. Gesù adopera il salmo e lo applica
tranquillamente a sé.
San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, capitolo 15,
dice che Dio ha messo ogni cosa sotto i piedi di Gesù. È solo un accenno, ma se
noi capiamo bene il salmo, possiamo cogliere il riferimento. «Tutto è posto
sotto i suoi piedi». Ma di chi sta parlando? Del Cristo risorto: è il Cristo
risorto che domina su tutto! L’intronizzazione gloriosa del Cristo e il suo
dominio universale è la realizzazione di questo salmo; vuol dire che Paolo lo
leggeva in chiave cristologica. Nella Lettera agli Ebrei abbiamo il testo più
esplicito; l’autore di questo scritto è un grande studioso biblico e fa parlare
il testo. Ecco come commenta proprio il nostro salmo: Eb 2,5 Non certo a degli angeli Dio ha sottomesso
il mondo futuro, del quale parliamo. 6 Anzi, in un
passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: Che cos’è l’uomo perché di lui
ti ricordi / e il figlio dell’uomo perché te ne curi? / 7 Di
poco l’hai fatto inferiore agli angeli, Cita il testo greco e
quindi adopera “angeli”; anche la nuova traduzione deve rendere con “angeli”
perché l’autore della Lettera agli Ebrei commentava il discorso sugli angeli e
deve presentare Gesù come inferiore agli angeli. di gloria e di onore l’hai coronato / 8 e hai
messo ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendo sottomesso a lui tutte le
cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però
non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. 9 Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco
inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della
morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a
vantaggio di tutti. Non c’è ombra di dubbio: il Nuovo Testamento ci dice di
leggere il Salmo 8 in chiave cristologica; l’uomo di cui si parla è quel povero cristo di Gesù! Ho usato apposta questa
espressione, cioè il Cristo povero, nel senso di pover’uomo, morto presto e
male, da giovane e su un patibolo infame. È quel povero cristo l’uomo coronato
di gloria e di onore, ed è proprio la sua persona gloriosa che richiama la
condizione della sofferenza. Adesso è coronato di gloria e di onore, ma è
arrivato lì perché è passato attraverso la sofferenza. Ecco perché ho
cominciato parlando del Salmo ottavo circondato dagli altri, perché questo
salmo è una luce che viene gettata sulla condizione della sofferenza umana e il
Cristo – che è l’uomo coronato di gloria e di onore – realizza proprio quel pover'uomo che ha patito concretamente ingiustizia, oppressione, iniqua
condanna, eliminazione. Eppure è lui che adesso domina su tutto. È stato fatto
“di poco inferiore agli angeli” nel senso che è sceso, certo, si è abbassato;
come uomo è inferiore, ma proprio perché è stato solidale con la sofferenza
umana è stato «di gloria e di onore coronato».
Adesso lui è l’uomo vero. Nella gloria il Cristo risorto è l’uomo, veramente
l’uomo; è la possibilità per l’uomo di diventare Dio. Superando quella
animalità che lo rovina, diventa Dio; questa è la dignità di cui sta parlando
il testo biblico ed è una dignità in divenire, dove la piena realizzazione si
ha grazie ad una cura divina e, attraverso la piena guarigione, conduce alla
gloria della risurrezione, di cui Cristo è il primogenito. In Cristo c’è la
realizzazione del progetto; nella Theotokos Maria, c’è l’umanità che ha raggiunto già
pienamente la sua dignità; in noi come chiesa c’è l’impegno del mostrare nel
mondo che questa dignità è possibile e che è la vocazione di tutti; diventa
allora dono e responsabilità, non semplicemente belle parole di contemplazione.
In mezzo ai guai di cui parlano gli altri salmi, il Salmo 8 nella notte del
mondo – perché quando ci sono le stelle e la luna è buio – esprime la fede e la
speranza di questa presenza del Figlio dell’uomo che porta a compimento il
progetto divino.
Lui si ricorda di me sempre, tu ricordi, che Lui ti
ricorda sempre? Se entriamo in questa reciprocità, di relazione,intima, anche
noi nella notte della nostra, vita sapremo vedere nelle stelle del cosmo, il
suo sorriso. Amin.
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