martedì 7 ottobre 2014

LA BARCA DELLA CHIESA STA' AFFONDANDO?

Il cammino di ogni autentico discepolo.
Delusione, dubbio, incertezza


Nel giro di una settimana a Gerusalemme è capitato di tutto.
 Gesù è stato accolto in maniera trionfale, acclamato come un re; ha trasmesso il comandamento dell’amore; durante la cena per la pasqua ha rivelato il valore del servizio con la lavanda dei piedi, ha garantito la sua presenza reale spezzando un pane e versando del vino; è stato arrestato; ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; è stato arrestato, processato, condannato a morte, trafitto su una croce, sepolto E basta. Tutto è finito. Nel giro di una settimana sono sfumati progetti, speranze e illusioni tessuti pazientemente in tre anni di sequela fedele e attenta. Tutte le cose che abbiamo costruito, per le quali ci siamo spesi, per le quali abbiamo sudato, lottato e pianto, per le quali abbiamo anche rischiato, ci siamo esposti, sono definitivamente sigillate e oscurate dietro quella grande pietra rotolata contro l’entrata di quel sepolcro nuovo, scavato nella roccia. Sembra di sentirli: "che delusione e chi se l’ aspettava lasciamo perdere, andiamo via Basta, torniamo ad Emmaus!".
Sono i discorsi di due persone che, dopo aver vissuto una esperienza affascinante ed esaltante con Gesù, si ritrovano soli, abbandonati, sconfitti e decidono di abbandonare il "cuore" di questa vicenda per dirigersi verso il definitivo ritorno alla realtà di prima, al quotidiano di ogni giorno.

Gesù si fa compagno
A questo punto, se non conoscessimo l’esito della vicenda e se dovessimo completare la storia con i nostri sistemi, è facile intuire le reazioni: "e fate come volete pazienza peggio per voi siete grandi e vaccinati.. arrangiatevi".
C’è qualcuno che non la pensa così. "… Gesù in persona si accostò e camminava con loro" (v. 15b) e non perché gli piace mettersi in mostra e affermare la sua supremazia, tant’è che "i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo" (v. 16). E’ lui che prende l’iniziativa e soprattutto cammina al loro fianco, si fa compagno di quella strada, di quella determinata fase del loro cammino.
Certamente – e ce lo rivela l’originale del testo greco – il loro discutere e discorrere era visibilmente animato, tanto che è facile per lo sconosciuto permettersi di domandare loro: "Ma di che cosa state parlando così calorosamente?". Anche qui, con il nostro stile poco aperto al dialogo, verrebbe voglia di sostituirci alla risposta dei due discepoli: "Ma cosa vuoi? Fatti i fatti tuoi!". E forse, dopo che essi rispondono: "Di quanto è capitato a Gerusalemme in questi giorni" ed egli incalza: "E che cosa è successo?", non verrebbe voglia di rispondere: "Ma scusa, dove vivi? Dove hai la testa?". Invece è talmente forte la ferita che sentono dentro, la sensazione di essere stati ingannati, che essi sentono il bisogno di sfogarsi. D’altronde chiunque avrebbe convenuto con loro sull’assurdità della vicenda, quindi non esitano a raccontare e esprimere tutta la loro delusione.
E questo si coglie dai verbi che utilizzano: fu profeta grande speravamo fosse lui a liberare Israele I discepoli avevano i loro progetti e le loro speranze; certamente, anche sulla scia delle idee promosse dagli zeloti, ai quali era legato uno di loro, che ritenevano che la liberazione dovesse esprimersi con atti militari e tendere alla ricerca della prosperità economica e del benessere materiale. Invece Gesù non solo è condannato a morte, ma alla morte in croce, infamante, riservata ai malfattori. Questo non rientra nei loro progetti.
Anche noi abbiamo desideri, progetti, speranze cui ci aggrappiamo con tanta passione, senza considerare che alcuni accadimenti possono rivelarci che esiste un progetto di Dio, diverso dal nostro, che naturalmente non possiamo prevedere o preventivare, più grande dei nostri pensieri. Per questo non riusciamo a pensare che possa essere più bello, più utile, più entusiasmante per noi e più capace di dare fiato e speranza. Certo, non è facile aprirsi e abbandonarsi al progetto di Dio e al mistero che lo accompagna. Ma per cosa pensate che Gesù "si accosta e cammina con noi"? Non certo per una sterile comprensione affettiva o per assecondare delusioni o incomprensioni. Egli è la via, la verità e la vita. Per questo cammina con noi: per condurci sulla via; per questo ci spiega le scritture: per portarci alla verità; per questo spezza il pane: per donarci la vita.

Gesù, novità sempre nuova
Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta e li fa parlare. Questo è il compito del vero animatore: ascoltare e fare i modo che l’altro possa esprimere le proprie ansie e possa spiegarsi bene.
L’iniziativa dell’incontro, dicevamo, è presa da Gesù. I discepoli non solo non fanno nulla perché l’incontro possa accadere, ma quasi accettano il viandante con indifferenza, a malincuore e frappongono l’ostacolo della delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù però dà rilievo alla libertà dei discepoli, che dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene via via rigenerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla storia dell’uomo.
Gesù fa questo senza dire cose nuove. Ma sono cose che avevano bisogno di sentirsi ridire e che assumevano, in quel determinato momento e in quella specifica situazione, un significato nuovo.
E’ per questa ragione che i due, a loro volta, lo ascoltano e lo lasciano parlare: perché si tratta di parole che aprono, spiegano, illustrano, indicano, fanno vedere gli eventi della vita, anche i più oscuri, in un modo nuovo e pieno di speranza.
Sembrava loro che tutto ciò che pesava sul loro cuore a poco a poco si sciogliesse. Ed è così che, arrivati a destinazione, con semplicità e serenità gli dissero: "Perché non ti fermi con noi?". E’ molto bella questa richiesta, la richiesta di restare, di rimanere. Se ci pensate è ciò che avvenne, con inversione delle parti, all’inizio della vita pubblica di Gesù. Due discepoli lo seguono, egli si volta e dice loro: "Che cercate?" - gli dissero: "Maestro, dove abiti?" - egli rispose: "Venite e vedrete" - essi andarono, videro dove abitava e stettero con lui quella notte. Lo stare, il rimanere è il segno più eloquente della conoscenza. Capite ora l’importanza di contemplare,di aprire il cuore alla sua parola,di non tradire quell’amore che sempre ci chiama a stare con Lui. Di rivivere, la frazione del pane non come gesto rituale,ma come accoglienza della presenza di Gesù. E’ in quella fractio panis,che va fondato il discepolato.
La missione fondamentalmente è nutrire con un pane incorruttibile,o meglio la stessa persona di Gesù,la cena del Signore non ci autorizza mai a strumentalizzare la missione in progetti corruttibili. Chi pensa di nutrirsi di questo pane,permanendo nell’uomo vecchio,ancorato a progetti materialistici,non solo disonora e dissacra il pane,ma rende un pessimo servizio ai fratelli.
Ed è proprio la frazione del pane la chiave di svolta di questi due uomini. Quando due persone si amano si parlano anche solo con uno sguardo, basta un segno, la comunicazione è immediata.
Di colpo balzarono in piedi, lasciano la cena a metà e corrono verso Gerusalemme. Quel Gesù che fu profeta, che speravano liberasse Israele, che è stato ucciso in croce era apparso loro, aveva camminato con loro e aveva spezzato per loro il pane.
Ecco l’insegnamento per noi oggi: balzare in piedi, lasciare la mensa, correre nel buio per gridare a tutti: "Il Signore è veramente risorto! Noi l’abbiamo visto".
Gesù ha acceso il loro cuore ed essi non riescono più a contenere l’ardore: sentono il bisogno di comunicarlo agli altri. E’ fonte di commozione e di responsabilità sapere che Gesù chiede la nostra collaborazione per raggiungere gli altri uomini. Il testo greco ci ricorda che lungo il cammino è avvenuta la metanoia,senza questa assoluta conversione del cuore,che ci permette di consegnarci alla Sua promessa,ogni nostro gesto risulta sterile e infecondo. la missione,pertanto si delinea come adesione del cuore,cambiamento,rinuncia delle nostre prerogative progettuali. L’accoglienza non è tornaconto,l’affetto e l’amore non possono mai trasformarsi in subdoli interessi conditi con parole e gesti ipnotici,perché dobbiamo portare gli altri al nostro ovile. La pericope evangelica dei discepoli di Emmaus,si pone come tracciato esistenziale concreto,non sono io che progetto la missione,perché semplicemente non devo portare la mia persona ad essere conosciuta e contemplata,ma un’altra. Dunque,la differenza tra la mia ansia missionaria e quella di Gesù,non possono essere contingente. Portare il messaggio di un altro significa,entrare nel mondo dell’altro,conoscerlo,farlo proprio,frequentare la sua casa,ascoltare la sua parola,condividerne le idee,permettergli di convivere nell’intimità del cuore e della mente. Non si può essere discepoli senza questa metanoia,altrimenti continueremo a portare noi stessi,con le nostre idee preconfezionate,con la presunzione di aver capito tutto,di essere arrivati. Soprattutto di far passare quell’idea,del discepolato partime,quasi d’ufficio,come se il Signore ci chiedesse di stare con Lui solo quando ci fa comodo o ne sentiamo il bisogno o come riempitivo di una insoddisfazione psico-affettiva. La fedeltà è la chiave dello stare con il Signore,senza questa fedeltà gioiosa,serena,amorosa,contemplativa,spesso senza comprendere il perché,ci accorgiamo che le nostre incoerenze lentamente si trasformano in condivisione,attesa,silenzio,preghiera,solitudine. Certo è ,che questa esperienza di Emmaus,ci invita a spezzare il pane con generosità e fiducia,anche quando la nostra giornata si presenta faticosa e invasa da tanti ostacoli e pensieri negativi,anche da coloro che abitano con noi e dividono lo stesso tetto. Non rinunciamo mai a tornare a questo Pane,svuoteremmo la nostra missione e rischieremmo di dare a chi ci stano vicino solo il pane corruttibile. Non permettiamo a nessuno di impedirci di spezzare questo pane,di sottrarci a questa mensa,accondiscendendo a pseudo abbracci umani ,svuotati di ogni assiologia valoriale. La fractio panis è ontologicamente inserita nella vita del discepolo.
Chiedo a Gesù che lui stesso accompagni ciascuno di noi, come ha accompagnato i due discepoli di Emmaus, così anche noi, al termine del cammino, possiamo ripetere la loro preghiera: "Resta con noi perché si fa sera".
All’ora come oggi,rimane un solo modo di remare,per evitarne la completa deriva. Ritornare al cuore del discepolato.


+Padre Mario Metodio

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